di Giorgio Bicocchi
Da vice-campione d’Italia e, soprattutto, da detentrice della Coppa delle Coppe (la cui ultima edizione coincise col il primo squillo europeo della nostra storia), la Lazio venne invitata, nell’estate di quattordici anni fa, al Torneo di Amsterdam, ricca rassegna internazionale che elargiva ottimi “cachet” e indubbia vetrina.
Approdata in finale dopo aver eliminato l’Atletico Madrid grazie alle prodezze di Couto, Lombardo e Simone Inzaghi, i Laziali, la sera del 1° agosto 1999, affrontarono i padroni di casa dell’Ajax, sorretti in mezzo al campo dal fosforo di Aaron Winter, quattro anni di Lazio (a metà degli anni Novanta) tra gli applausi. “Amsterdam Arena” pieno come un uovo, nonostante Eriksson schierasse – sul malgrado – una formazione un po’ rabberciata, orfana, tra gli altri, di Mancini, Pancaro, Coincecao, Salas, Simeone, Almeyda. Nonostante tutto – e questo già spiega l’incredibile opulenza di quella Lazio cragnottiana – il rettore di Torsby potè allineare una ossatura di tutto rispetto.
Contando, ad esempio, su Marchegiani, Nesta, Mihailovic, Veron, Nedved e Boksic. Proprio l’attaccante croato fu l’indiscusso protagonista di quella serata, in cui la Lazio battè tre a due l’Ajax, iscrivendo per la prima volta il suo nome nell’albo d’oro del torneo. Boksic apri’ le marcature, propizio’ il fallo da rigore – poi trasformato da Mihajlovic – entrando in tutte le nostre azioni. Un autentico martello, come solo Alain sapeva fare quando era in giornata. Chiuse il conto, nella ripresa, Kenneth Anderson, lo svedese che poco gioco’ e poco incise, da li’ a qualche mese ceduto per ingaggiare “Penna Bianca” Ravanelli.
Fu capitan Nesta ad alzare al cielo il trofeo, Lazio regina d’Olanda per una notte. Eriksson contava i giorni che separavano la squadra dalla finale di Supercoppa contro il Manchester, a Montecarlo mentre Cragnotti, ancora per qualche giorno, avrebbe inseg
uito (invano) il francese Anelka.