di Giorgio Bicocchi
Verso le 18 del 31 marzo di quarant’anni fa, al termine del derby di ritorno vinto all’Olimpico, Giancarlo Oddi riaccompagno’ Giorgio Chinaglia a casa di Tommaso Maestrelli. Era lì, dal suo mentore, giocando spesso, dopo cena, con Massimo e Maurizio, i gemelli di Tommaso e Lina, che Long John, cancellando i cattivi pensieri, si era trasferito ormai da qualche mese.
La vita in città era diventata durissima: qualche stolto aveva regolarmente imbrattato le saracinesche della boutique di Giorgio, in via Nemorense. Connie – ed era quella la preoccupazione più grande di Giorgio – non riusciva più neppure a fare la spesa, insultata e vilipesa.
La Lazio, in quel pomeriggio di quarant’anni fa, diede un solenne scossone alla classifica, alimentando il suo sogno tricolore. Vinse fuori casa, bissando la vittoria ottenuta sette giorni prima, all’Olimpico, contro il Cagliari. Maestrelli entro’ nella storia del club trionfando nel quarto derby di fila. Fu però, essenzialmente, il pomeriggio di Long John che gioco’ e vinse la sua personale battaglia contro la Curva Sud. Provocato, attaccato in campo e sugli spalti. Offeso e bersagliato, ad un certo punto della ripresa – dopo il rigore decisivo trasformato sotto la curva rivale ai danni di Paolo Conti – da un fitto lancio di oggetti. Fu una gara durissima: che la Lazio interpreto’ malamente nei primi 45′, sotto, nel punteggio, per una sciagurata autorete di Pulici su innocuo spiovente di Spadoni. Assolutamente fiammeggiante, al contrario, nella ripresa, con il pari firmato da D’Amico, il penalty di Long John, pochi giri di lancetta più tardi, un palo di Frustalupi e una traversa di Nanni, pensate un po’. La Roma di Liedholm mai si arrese, provando fino alla fine a rimettere in carreggiata la stracittadina. Fu però il derby (l’ennesimo) di Chinaglia, il giorno del dito puntato verso la Sud, il pomeriggio dell'”Andiamo Chinaglia Andiamo” urlato metaforicamente per tutti i novanta minuti. Il Totem della Lazialita’, un tifoso Laziale in campo prima che un centravanti immarcabile perché sorretto da coraggio e grinta fuori del comune: fu questo Long John, esattamente quarant’anni fa.
Magnifico condottiero, indomabile. E poi rissoso combattente contro i nemici di sempre. Quelli che gli avevano turbato la vita, allontanandolo dalla famiglia, facendogli balenare – già da qualche mese – l’ipotesi di varcare l’Oceano provando a diventare (come poi accadde) re del soccer. Sotto gli scudi della Celere, dopo due tentativi di invasione sventati a fatica a seguito della concessione del rigore decisivo, Giorgio festeggio’ a lungo sotto la Sud, dribblando oggetti e arance. E la sera, nel corso de ‘La Domenica Sportiva’, Padre Lisandrini dovette usare la sua proverbiale oratoria per spegnere violente polemiche sul comportamento, per molti osservatori provocatorio, di Long John.
Ai laziali, a coloro che sentivano il primo scudetto della storia ormai vicinissimo ad un mese e mezzo dalla fine del campionato, interesso’ poco o nulla di quei di quei dibattiti stucchevoli. Erano ebbri di gioia perché la legge di Long John – come una cambiale scaduta – aveva condannato ad una nuova sconfitta la rivale di sempre.