di Giorgio Bicocchi
‘Quando dovemmo partire per il Brasile Muccinelli era talmente spaventato del viaggio in aereo che decidemmo di farlo viaggiare in cabina di pilotaggio, accanto al pilota’.
Bob Lovati, anni fa, ricordò così, con un messaggio carico di affetto, Ermes Muccinelli, la formidabile, piccola ala (era alto appena 158 centimetri, solo una lunghezza in più di un altro grande funambolo dal cognome quasi simile, Puccinelli) che, con la Lazio, nella metà degli anni Cinquanta, visse una sorta di seconda giovinezza.
Perché proprio oggi, alla vigilia di Pasqua, abbiamo deciso di proporre al popolo Laziale un suo ricordo? Perché Muccinelli, romagnolo di Lugo (lo stadio gli è tutt’ora intitolato) decise con una prodezza (un tiro incrociato raffigurato in foto) un derby disputato all’Olimpico, in un giorno infrasettimanale, davanti a settantamila spettatori, cinquantanove anni fa. Una stracittadina rinviata per neve venti giorni prima: la famigerata nevicata del ’56 che imbiancò Roma facendola assomigliare, per poche ma intensissime ore, ad una fredda città del Nord Europa.
Muccinelli, arrivato alla Lazio dalla Juve assieme a Pasquale Vivolo (un altro che alla Lazio lasciò un pezzo di cuore, come spesso raccontato anche dalla moglie Mirella), fuori dal terreno di gioco amava la bella vita, indugiando spesso, la notte, davanti ad mazzo di carte. In campo, però, complice un repertorio di altissima classe, condito da finte, scatti a bruciapelo, accelerazioni e scarti improvvisi, era diventato una sorta di autentico spauracchio per qualsiasi difensore. A Torino, dove con la Juve giocò quasi duecentotrenta partite, fece le fortune – scodellando decine di assist – di John Hansen e Boniperti. A Roma, invece, amava duettare in campo con Tozzi, Selmosson, Vivolo, mica carneadi. Si prese da solo il derby del recupero dell’aprile del ’56, la gara in cui esordì in serie A Nicola Lo Buono. Tra i dirimpettai cittadini giocarono quella stracittadina, tra gli altri, Losi, Ghiggia, Cardarelli, Pandolfini, Da Costa, per un giorno mica incubo di Bob Lovati. Era una Lazio ottimamente allenata da Carver, quella, destinata a fine stagione a collocarsi alle immediate spalle delle più forti. La prima linea di quel giorno, 4 aprile 1956, d’altronde era composta da Muccinelli, Burini, Bettini, Vivolo, Selmosson: brutte gatte da pelare per tutti, fidatevi.
Classe al potere, ecco cosa rappresentava Muccinelli, scomparso prematuramente ventuno anni fa. Nell’almanacco del derby dell’Olimpico c’è griffato anche il suo autografo: la firma di un giocatore affatto banale.