di Giorgio Bicocchi
Il radiocronista di “Tutto il calcio minuto per minuto”, Claudio Ferretti, il figlio di Mario – il giornalista che, anni prima, seguendo il ciclismo eroico, coniò l’indimenticabile locuzione “Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi” – raccontò il 4 novembre di trentacinque anni fa Lazio-Juventus. Che non fu una partita qualunque dal momento che all’Olimpico tornammo dopo una settimana dall’assassinio di Vincenzo Paparelli.
Fu una classica settimana italiana quella che precedette la partita: con la presentazione dell’evento agonistico che passò ovviamente in secondo piano, con l’attenzione tutta dominata da stucchevoli blà blà blà sulla violenza negli stadi. Parole al vento, se è vero che – negli anni a seguire – attorno e dentro agli stadi ci si continuò a picchiare selvaggiamente, a volte, certo, non con la premeditazione di quell’agguato che costò la vita, in piena Curva Nord, a Vincenzo, centrato da un razzo spedito dal settore opposto.
Si andò in campo con la morte nel cuore e la Lazio – come spesso è accaduto nel corso della sua storia, dopo giornate trascorse con l’animo tormentato – sciorinò una prestazione tutta cuore e carattere. Andando in vantaggio dopo pochi minuti complice una sciagurata autorete del centrocampista bianconero Verza, chiudendo poi ogni pertugio, agendo di rimessa, combattendo su ogni zolla di campo. La foto che il Centro Studi allega a corredo testimonia di quell’ardore: raffigura il capitano, Pino Wilson, con la classica maglia celeste di quegli anni (aquilotto posto a sinistra, poco sopra il cuore) che controlla una iniziativa di Roberto Bettega in area laziale.
Mica era una Juve malvagia quella che perse quel pomeriggio del novembre ’79 all’Olimpico. Con il Trap in panchina, c’erano Zoff, Cuccureddu, Cabrini, Furino, Morini, Scirea, Causio, Tardelli, Bettega. L’ossatura, in pratica, della Nazionale di Bearzot che, tre anni dopo, avrebbe vinto il terzo mondiale.
E la nostra Lazio? Lovati schierò Cacciatori, Tassotti, Citterio, Wilson, Pighin, Zucchini, Garlaschelli, Labonia, Giordano, Nicoli e Viola. C’erano, in campo, giovani destinati ad una grande carriera (come Mauro Tassotti che, l’estate successiva, Lenzini cedette al Milan) ed altri che non confermarono gli auspici (come l’argentino Labonia). C’erano poi Zucchini, che non lasciò traccia dopo essere stato ingaggiato dal Pescara, e Pighin, centrale difensivo, che, una volta smesso di giocare, investì in una azienda vinicola nel suo Friuli.
La Lazio, con quella vittoria, confermò un ottimo inizio di campionato (solo una sconfitta, a Milano contro l’Inter, nelle prime nove gare). Sarebbe stato un fuoco di paglia perché alla fine di quel torneo – complice le sciagure del calcio-scommesse – la Caf spedì in serie B la nostra squadra, al pari del Milan. Un’altra storia italiana: davanti ad uno scandalo di proporzioni epocali, pagarono duramente solo pochi clubs. Con altre società – anche di alto lignaggio – che la sfangarono, non entrando nell’inchiesta.