di Giorgio Bicocchi
Sivori, Boniperti e Charles: nessun dubbio, la Juve era scesa all’Olimpico col chiaro intento di guadagnarsi la finale di Coppa Italia del ’58, contro la Fiorentina.
Si gioca a metà settembre, fa caldo. La nostra estate era stata condita da polemiche e veleni: nessuno poteva vedere Selmosson con la maglia della Roma senza provare un tuffo al cuore.
Fu Tozzi (nella foto che lo ritrae al culmine dei suoi proverbiali dribbling secchi), il brasiliano che la Lazio aveva pagato a peso d’oro dal Palmeiras, a caricarsi sulle spalle il resto della squadra. Primo tempo sostanzialmente equilibrato, poi, dopo dieci minuti della ripresa, ecco il guizzo di Humberto, morto in bolletta in Brasile quando ancora la vecchiaia doveva arrivare. Era la Lazio di Coppa, quella plasmata da Bernardini. Rapida, ficcante, con Tozzi terminale implacabile. Quando raddoppiò Fumagalli (mancava un quarto d’ora alla fine) tutti i Laziali presenti all’Olimpico (oltre 55mila) capirono che la gara era praticamente finita e che la Lazio si era guadagnata con merito la finale di Coppa Italia.
Prima una, poi l’altra, poi centinaia di fiaccole illuminarono la notte dell’Olimpico. Più bianco e celeste del cielo stellato.