di Giorgio Bicocchi
Chissà se, un quarto d’ora prima dell’inizio della gara sul Bosforo, nell’infuocato stadio del Fenerbahce, farà capolino Can Bartu’. Si, perché Fenerbahce e Lazio sono state le passioni calcistiche di questo centrocampista dai piedi buoni, capace di alternare, nei primi anni Sessanta, giocate, spunti, idee, contributi. Un suo difetto? Amava troppo la bella vita. Proveniendo da una ricca famiglia turca non era ossessionato, al pari di molti altri suoi compagni, dal mettere da parte un bel gruzzolo.
Alla fine degli allenamenti lo si trovava spesso nelle boutique del Centro di Roma, provando cravatte, camice o pantaloni alla moda. Questione di stile, insomma.
Classe ’36, una sorta di istituzione della Polisportiva Fenerbahce. Can Bartu’ – che per anni, dopo aver smesso di giocare, ha fatto il giornalista per la tv turca, scrivendo anche articoli per svariate riviste e giornali – ha iniziato a praticare sport, infatti, tirando una palla a spicchi verso un canestro. Fu cestista, e pure di grido. Tanto da giocare nella prima squadra di basket del Fenerbahce, provando poi ad esibirsi (con successo) pure a pallone. Un ragazzo versatile, un polivalente dello sport. Come lo erano, agli inizi del Novecento, i pionieri della Lazio, attivissimi in svariate discipline. Non a caso Bartu’, alla fine della propria carriera agonistica, poteva sventolare un vanto mica da poco: gioco’ infatti nelle Nazionali di basket e di calcio della Turchia.
Alla Lazio arrivo’ dalla Fiorentina, nell’affare che condusse il “Gaucho” Morrone in maglia viola. Tre anni in nella Lazio, dal ’64 al ’67, stagioni altalenanti e zeppe di chiaroscuri. Un ambasciatore, negli anni, del calcio turco, Bartu’. Un tuffo al cuore per i laziali piu’ attempati rivederlo nello stadio del Fenerbahce, in giacca e cravatta. Vestito come un lord inglese. Come, in fondo, gli è sempre piaciuto.