di Giorgio Bicocchi
Chi nasce a Recco, la cittadina ligure depositaria del maggio numeri di scudetti vinti nella pallanuoto, deve avere un binario privilegiato che conduce alla gloria. Accadde questo a Geminio Ognio, classe ’17, recchese di nascita, romano (e fondamentalmente laziale) per il resto della vita. Che chiuse esattamente ventitré anni fa, il 28 ottobre del 1990.
Ognio, detto ‘Mimmo’, non è uno dei tanti atleti che hanno vestito la casacca Laziale. È, più di tutto, uno dei nove campioni olimpici della Polisportiva, in virtù della medaglia d’oro più luccicante cintasi al collo ai Giochi di Londra del ’48, assieme agli altri due ‘aquilotti’, Ghira e Arena.
Doveroso, oggi, allora, nel giorno della commemorazione, riannodare parte della sua straordinaria vita di campione. Di nuoto, gran fondo e pallanuoto, con l’accappatoio della Lazio indossato gia’ nel ’37, dunque a vent’anni. C’era lui, in vasca, da centroboa, ad esempio, nel ’45 quando la Federazione privo’ misteriosamente la Lazio del primo tricolore vinto contro la Rari Nantes Napoli, accogliendo un ricorso dei partenopei. Non ci sarebbe stato, ‘Mimmo’, undici anni dopo quando il Settebello Laziale (con Gionta, Ceccarini e Pucci sugli scudi) saldo’ in ritardo un vecchio conto col destino, festeggiando l’unico scudetto della sezione.
Campione d’Europa sempre con la waterpolo a Montecarlo nel ’47, bronzo ai Giochi di Helsinki del ’52. Un forziere di allori, comprendendo pure le decine di gare di nuoto e di gran fondo vinte. Un atleta-robot, capace di non patire la fatica. Immarcabile o quasi in vasca, regalando sprazzi di classe sopraffina. Soprattutto un campione olimpico. Tutto nostro, eternamente laziale.