di Giorgio Bicocchi
‘Tiralo tu’, disse Piola, mica uno qualunque, ad Umberto Lombardini. L’arbitro – si stava giocando il primo tempo – concesse un rigore alla Lazio che, in quel campionato 1940-41 giocava a Napoli. In porta, tra gli azzurri, c’era Blason, che aveva vestito i colori Laziali e un po’ tutto sapeva dei suoi ex-compagni. Lombardini non si tirò indietro: con spocchia calcio’ quel rigore con le gambe incrociate: una finta che mando’ in tilt Blason.
L’aneddoto e’ ricordato con passione immutata verso il papà da Vittorio Lombardini, direttamente dalla casa del Tufello, il quartiere che ‘Bomba’ aveva nel cuore. ‘Quel suo gol su rigore venne poi invalidato dal Giudice Sportivo a causa dell’invasione di campo che, nel secondo tempo, fecero i tifosi del Napoli. La vittoria venne assegnata a tavolino alla Lazio per due a zero e papà perse l’onore di quel rigore segnato a Blason’.
Due figli, una moglie, Angela Mancini, sorella di Giuseppe, classe ’20 – come Umberto – uno dei magici pulcini di Vienna, compagno di Capponi, Longhi e Giubilo, capaci di impattare, nel ’33, al Prater di Vienna, contro gli omologhi tredicenni del Wacker.
La favola di Lombardini, trentacinque presenze ed una dozzina di gol nella Lazio, iniziò nella ‘minori’ Laziali. Come ebbe origine il soprannome ‘Bomba’, che lo accompagnò per l’intero arco della sua vita? Per la potenza e la precisione dei suoi tiri, scagliati con quel diabolico 46 di piede. Autentiche folgori che gonfiavano la rete e rendevano assolutamente superflui i tentativi dei portieri. Fu Dino Canestri, uno dei Totem di quelle Lazio, a farlo esordire in ‘prima squadra’.
‘Bomba’ era uno di quei romani generosi, sempre pronto alla battuta eppure taciturno a casa, come testimoniato da Vittorio. ‘Era nato nel ’20, in una casa di via Piave. Già a tredici-quattordici anni andava a correre al Parco dei Daini, a villa Borghese. Sapete chi correva spesso con mio padre? Raimondo Vianello’ . Calza l’aneddoto di Vittorio Lombardini perché il futuro attore e presentatore era anch’esso nato nel ’20, prima di seguire il padre, ammiraglio della Marina, a Pola. ‘Correndo tra il Parco dei Daini e Piazza di Siena mio padre conobbe pure Mancini, che aveva una sorella, Angela’ . Fu un colpo di fulmine, tipico di quegli anni in cui molti giovani era soliti sposarsi con appena un filo di barba sul viso. Nel ’41, quando ‘Bomba’ aveva appena ventuno anni, nacque Vittorio, che spesso, ancora piccolissimo, accompagnava il papà agli allenamenti.
Esordio a Bergamo, con Piola che, per fargli spazio, emigrò addirittura all’ala. Tre reti nella prima stagione, tutte segnate lontano dallo Stadio Nazionale: a Bari, Firenze e Torino. Neppure per le statistiche valse il rigore di Napoli, azzerato dalla giustizia sportiva. Un titolo lo vinse, ‘Bomba’: il campionato romano di guerra del 1943-44, organizzato dal Coni per far riprendere l’attività calcistica cittadina. Sedici gol, segnati tutti d’un fiato.
Quando, dopo la fine della guerra, la Lazio ricostruì i ranghi per riprendere a giocare, a Lombardini venne preferito Penzo. ‘Ma lui non se la prese, aveva subito un brutto infortunio al ginocchio e, a quei tempi, guarire perfettamente era una vera lotteria. Aveva solo ventotto anni, l’apice quasi della carriera invece per i giocatori di oggi. Scelse allora di andare a lavorare, giocando però i campionati minori. E anche li’, su campi un po’ abbandonati, sciorinava la sua potenza. Segno’ a raffica, lasciando bellissimi ricordi’.
Iniziò allora – non erano ancora gli anni Cinquanta – la seconda vita di ‘Bomba’, impiegato della Cassa di Risparmio. Un ufficio nelle vicinanze del Monte di Pieta’. Poi all’interno della Direzione Generale di via del Corso. Un impiego che, successivamente, Umberto tramandò al figlio Vittorio, andato in pensione anche lui – come il papà – lavorando in banca. ‘Io laziale ce so’ nato e ce so’ rimasto’ , ripeteva spesso ‘Bomba’, destinato a diventare poi una sorta di istituzione della sede di via Col di Lana. Erano gli anni Settanta e Lombardini che, in pensione, non sapeva proprio stare, divenne uno dei più fidati collaboratori di Lenzini. Pratico di bonifici, girate, assegni, comunque adempimenti da svolgere in filiale, era adibito, il lunedì successivo ad una partita casalinga della Lazio, a versare in banca il relativo incasso. ‘E un paio di volte venne pure rapinato’, svela Vittorio. Al secondo piano di via Col di Lana, che ‘Bomba’ raggiungeva dal Tufello a bordo di una famigerata Renault, si alimentarono splendidi rapporti di amicizia e di solidarietà. ‘Papà era amico di tutti, da Gabriella Grassi al ragionier Angelini. Da Tonello a Flacco Flamini, all’epoca osservatore. Era Lovati, pero’ , che lo affascinava per la gentilezza d’animo e la generosità’.
In trasferta era sempre presente? ‘Spesso, si faceva passare a prendere sotto casa alle sette del mattino. Scendevano lui e mamma, che, ovviamente, sentendo parlare di Lazio sin da bambina, era diventata una tifosa più di lui. Si sedeva accanto al guidatore e gli diceva, appena chiuso lo sportello: ‘vedi de non corre’.
Grande ‘Bomba’, che allietava spesso, con battute a raffica, pure i tifosi che, in fila, facevano i biglietti all’interno della sede di via Col di Lana, quando la Lazio non era un fortino invalicabile, aprendo le proprie porte a tutti. Morì presto, a soli 66 anni, ‘Bomba’ , nell’ottobre dell’86. Una sorta di oltraggio, per un laziale a diciotto carati come lui, lasciare la vita con la squadra zavorrata dai nove punti di penalizzazione e dal futuro, in quei mesi, incertissimo. Uno dei tanti addii ingiusti e prematuri di una società (la nostra) perennemente in trincea.