di Giorgio Bicocchi
Quanto sarebbe utile, nel mondo-Lazio di oggi, avere al proprio fianco un uomo pacato come Ugo Longo! Un amico Laziale: da Caltanissetta, dove nacque, fino al quartiere Prati, dove stabilì il suo studio di valente avvocato.
Cinque anni fa il suo addio alla vita: Chiesa di Piazza dei Quiriti gremita per uno dei tanti nostri funerali. Da Milano arrivo’ anche Mancini perché ‘Ugo Longo e’ stato il mio Presidente’.
Uno dei Presidenti vincenti della storia della Lazio: fu lui, nel maggio del 2004, poche settimane prima di abdicare, ad alzare al cielo la nostra quarta Coppa Italia. Quella orientata dalla doppietta di Fiore contro la Juve di Lippi, all’Olimpico, e dai gol di Corradi e dello stesso Stefano nel ritorno all’interno del vecchio ‘Delle Alpi’, in fondo uno stadio che ci ha portato spesso fortuna.
Cinque anni fa, poche ore prima dell’avvento ufficiale della primavera, mori’ Ugo Longo e la Lazio – tutta la nostra famiglia – si senti’ improvvisamente più sola e più vulnerabile. Perché Ugo aveva un grandissima capacità: quella di svilire le ansie, i turbamenti, le preoccupazioni. Strizzando sempre l’occhio all’ottimismo. E nel periodo della sua reggenza tribolazioni ce ne furono, eccome. Ovviamente coincise con la caduta (imposta dai poteri economici) di Sergio Cragnotti, con la Lazio in lotta per vincere lo scudetto. Ugo Longo si insediò a Formello, diventando sindaco di un popolo intero. Con il sorriso eternamente stampato sul viso, sventolando una Lazialita’ intensa ed appassionata. Amava la Lazio a priori, Ugo, confondendosi come un tifoso qualunque, immedesimandosi nei sogni della gente. Non è un caso che, con un dirigente in cui si rispecchiava fedelmente – sobrio nelle vittorie, mai piegato dai rovesci, un cultore dello sport e dei suoi verdetti – i tifosi della Lazio stabilirono il record di abbonamenti staccati. Accadde nell’estate del 2003, successiva ad uno degli aumenti di capitale – sottoscritti dalla gente comune – più consistenti della storia del calcio: oltre quarantunomila tessere, come dire che l’Olimpico era sempre pieno. Idee, spunti, come il varo della ‘maglia-day’, tutti allo stadio con la casacca celeste in un memorabile afflato coi colori del cielo. Puntualmente in festa perché la Lazio, quel pomeriggio, batte’ il Chievo.
Fu l’ultimo Presidente, Longo, a gestire grandi giocatori, personalità e caratteri ingombranti. Sempre con oculatezza, senza mai alzare la voce. Convincendo con le parole e i comportamenti. Come un classico padre di famiglia. La Lazio era la sua vita, tanto che Ugo – passato il testimone a Lotito – indosso’ la toga, scendendo in trincea nel processo di Calciopoli del 2006, difendendo il suo ideale di vita. Grazie alla sua oratoria, in fondo, la Lazio passo’, in quell’estate infernale, da una retrocessione con penalizzazione ad un recuperabilissimo meno tre in classifica, ma in serie A.
Cinque anni senza il sorriso, la classe e l’eleganza di un grande Laziale. Si, Ugo, ci manchi molto.