di Giorgio Bicocchi
Il 17 febbraio del 1974, alle ore 15,30, la voce di Enrico Ameri, inviato all’Olimpico per ‘Tutto il calcio minuto per minuto’, porto’ nelle case degli italiani il parziale del primo tempo della gara più importante del campionato: Lazio-Juventus. Quella in cui Garlaschelli buco’ Zoff, Long John raddoppio’, Felice paro’ un rigore a Cuccureddu e Chinaglia fece iniziare la festa siglando il tre a uno finale.
In quelle stagioni le partite iniziavano rigorosamente alle 14,30, si giocava anche nelle feste comandate e la Rai si collegava con i campi della serie A alla fine del primo tempo. Prima era impossibile sapere i risultati, a meno di chiamare – conoscendolo – il numero di telefono della cabina del Coni, appollaiata in cima all’Olimpico, per sapere in anteprima, da un solerte funzionario, il risultato parziale della partita. Un altro mondo, in cui si potevano sognare le partite e il calcio era, oggettivamente, magia e mistero.
La voce di Enrico Ameri, quel pomeriggio, arrivo’ anche ad ottomila chilometri di distanza, come testimoniato da un articolo pubblicato da ‘Il Messaggero’ il 19 febbraio del ’74, puntualmente recuperato dal Centro Studi, regolarmente accluso a questo articolo. Laziali, juventini e romanisti di una piattaforma sistemata nell’Oceano, proprio davanti alle coste del Kenya, si radunarono nella cabina-radio in religioso silenzio. I laziali e gli juventini parti in causa, i romanisti per sfottere (almeno negli auspici, visto che poi i Laziali dilagarono) i dirimpettai cittadini. La doppietta di Long John, così, fece breccia pure nell’Oceano Indiano. I laziali – che lavoravano sulla piattaforma – stapparono, al triplice fischio dell’arbitro Panzino, bottiglie di Chianti. Ci fu persino chi scrisse il risultato finale su un gigantesco e colorato cartello, affisso, con sprezzo del pericolo, in cima alla piattaforma. Il motivo? Fare in modo che pure chi navigasse al largo fosse reso edotto del trionfo della Lazio, in fuga verso il primo scudetto. Una ‘Cape Kennedy’ laziale: potenza dell’amore verso una squadra, quella di quarant’anni fa, semplicemente irripetibile.