di Giorgio Bicocchi
Arriva stentorea la voce da Milano, dal quartiere operaio vicino Porta Genova. Renzo Burini abita qui, ottantotto anni il prossimi ottobre e non sentirli neppure un po’. ‘Ho qualche acciacco ma non mollo. Siamo friulani, noi. Io e Edy Reja. Io di Palmanova. in provincia di Udine. Lui e’ di Lucinico, dalla parte di Gorizia‘.
Va, eccome, a Renzo di riavvolgere parte della sua vita agonistica.
Anni di Milan contraddistinti da vittorie, gol, scudetti. La vicinanza in campo con Green, Nordhal, Liedholm, mica tre carneadi qualunque. Centonovanta presenze in rossonero, altro che quisquilie. E poi Milano ha voluto dire anche Franca, la compagna di una vita. ‘Sempre la stessa, mica ho cambiato come si fa adesso‘, ride al telefono Burini. Uno che la Lazio scopri’ all’improvviso, nell’estate del ’53 e che da allora mai più ha abbandonato. Una passione coinvolgente, tanto da essere spesso chiamato, in versione ospite d’onore, dai clubs della zona. ‘La Lazio di adesso? Ha bravi giocatori, come Candreva ad esempio. Mi ricorda un po’ il mio modo di giocare: correre, andare sul fondo e rimettere la palla al centro o poco più indietro. Forse quest’anno la squadra e’ un po’ umorale. La vittoria in Coppa Italia? L’ho festeggiata anche io da Milano, diamine…‘.
Come nacque, oltre sessant’anni fa, questo romantico romanzo con la Lazio? ‘Mi piaceva la città, la squadra era simpatica, la società era noto che volesse migliorare. E poi al Milan io avevo avuto problemi di ingaggio. Mi reputavano sempre giovane e mi pagavano poco. Per questo – quando la Lazio si fece sotto per ingaggiarmi – diedi subito il benestare. Ero reduce anche da un brutto infortunio ad una gamba, una di quelle fratture che mettono persino in dubbio il proseguimento di una carriera. Figuratevi allora, con la medicina che non aveva ancora fatto gli attuali passi da gigante. E così sbarcai a Roma: una delle cose più giuste che ho fatto nella mia vita‘.
Roma, nel ’53, era bella come una diva hollywoodiana. Erano gli anni che annunciavano il boom economico, le
prime automobili, gli stipendi che crescevano, le macerie della guerra che – gradualmente, vivaddio – diventavano solo un ricordo.
‘Fu mio suocero ad accompagnarmi a Roma con una Topolino. Primo appartamento? A Piazzale delle Medaglie d’Oro. Poi dopo un anno traslocai a Monte Mario: nel mio stesso pianerottolo abitava Puccinelli, l’anima di quella Lazio, che divenne – assieme a Sentimenti IV – il mio più grande amico‘.
Erano le stagioni in cui quella Lazio coraggiosa, composta da tanti, grandi giocatori, era solita sempre piazzarsi alle immediate spalle delle grandi del Nord. Avrebbe, insomma, rapportando quei campionati ai giorni nostri, timbrato sempre l’ingresso in Europa, crepi l’avarizia.
‘Ho avuto bravissimi allenatori, come Sperone e Carver. Soprattutto il tecnico inglese ci sapeva fare. Poche parole, concetti chiari, ci capivamo al volo‘. Era però una Lazio in cui, oggettivamente, era facile giocare e vincere. C’era Selmonsson e poi Tozzi, Sentimenti IV, Puccinelli, Vivolo, Bredesen. Grandi giocatori e lauti ingaggi (‘sicuro, a Roma guadagnai molto più che al Milan‘, chiosa Burini), la sede di via Frattina, soprattutto la sera, presa d’assalto da mille tifosi. Erano gli anni, d’altronde, in cui le sezioni della Polisportiva erano sempre in fiore: lo scudetto del baseball, lo scrigno di successi del nuoto, la Lazio di pallanuoto, il basket e la pallavolo. Un forziere di risultati, ti giravi e in città – dove si praticava sport ad alto livello – incrociavi solo magliette Laziali.
E il lunedì, il giorno libero, Burini che faceva? ‘Raramente sono andato in centro. Vivevo per giocare a pallone. Da Monte Mario raggiungevo il campo di allenamento e poi tornavo a casa. Il lunedì caricavo la famiglia sulla macchina e ce ne andavamo a Frascati, mangiando nelle classiche fraschette. Non c’erano compagni o altre famiglie che ci accompagnavano. Era un modo per stare assieme a mia moglie e ai miei due figli‘.
E di quei compagni chi ricorda, Burini? ”Lovati, il portiere della Coppa Italia del ’58: un vero signore. Fino a qualche anno fa mi telefonava sempre, ragguagliandomi su vecchi amici e compagni. Sentimenti IV: un vero condottiero. Tozzi, un bel matto. Raggio di Luna Selmonson, un artista del pallone e un ragazzo semplicissimo fuori dal campo‘.
E i derbies, quelle sfide infuocate contro i rivali di sempre?
‘Si, gli ho segnato spesso. Ma finita la partita tutto rientrava. Falli, parolacce in partita ma al fischio finale era tutto dimenticato. Come dovrebbe sempre essere. Della Roma mi piaceva Ghiggia, un’ala come me. Per la verità fui ala – nel vero senso del termine – al Milan. Nei cinque anni di Lazio diversi allenatori vollero che mi accentrassi maggiormente, giocando da mezz’ala. Avevo il passaggio pulito, mi divertivo, insomma, a mandare in porta i miei compagni. Talvolta concludendo anche io‘.
Centoquaranta presenze complessive nella Lazio, quaranta gol a referto. Come quelli segnati nel girone – contro Roma e Napoli – che avrebbe annunciato la vittoriosa cavalcata nella Coppa Italia del ’58. Quando Burini e Tozzi, in particolare, orientarono quel primo, storico successo a suon di grandi prestazioni. E con i Presidenti di allora era facile andare d’accordo? ‘Eccome, ricordo che il Conte Vaselli, ad esempio, invece che darci un premio-partita in denaro era solito regalarci una sterlina d’oro o una medaglia commemorativa. Ebbi un rapporto franco con Costantino Tessarolo‘. In sostanza, Burini, la Lazio cosa e’ stata? ‘Una avventura magica. Una bellissima città, una tifoseria appassionata, due stadi coinvolgenti come lo stadio Torino e poi l’Olimpico. Grandi stagioni, piazzamenti onorevolissimi. Derby vinti, le grandi spesso strapazzate, in casa o fuori. Compagni adorabili. E quel senso di appartenenza che, ancora oggi – a quasi ottantotto anni – mi fa avere un fremito quando ascolto o leggo in Tv il nome Lazio…‘.