di Giorgio Bicocchi
‘Destati, caro Giuliano, all’ombra del paradiso degli eroi in cui, da nove anni, anima Laziale, sei confinato. Era un giorno d’agosto e la notizia arrivo’ come una mazzata mentre molti di noi erano al mare, in montagna, sognando – alla ripresa del campionato – una Lazio più forte. Eri già malato ma quando il tam tam ufficializzo’ la tua scomparsa ci sentimmo tutti più soli e più vulnerabili.
Pensa, Giuliano, che accoglienza avresti avuto, se fossi stato in vita, all’Olimpico lo scorso 12 maggio, quando il nostro senso di appartenenza si abbino’ alla voglia di esserci, sempre e comunque. Eugenio non ci ha dormito per due notti, Fabio Poli, il tuo amico bolognese per una vita, e’ ripartito per l’Appennino col cuore in subbuglio. Si, Giuliano, abbiamo dato il meglio di noi, romantici e struggenti come siamo sempre stati, lo scorso 12 maggio. Ma forse già lo sai o ti è stato riferito…
E il 9 gennaio del 2000, te lo ricordi? Un enorme vessillo col tuo viso illumino’ la notte del Centenario: senza la tua prodezza del 21 giugno 1987 anche la Lazio più forte della storia avrebbe forse ritardato la sua consacrazione.
‘Affacciati, Giuliano, da quella nuvola immortale: oggi e’ il 21 giugno, sai? E’ il tuo giorno, lo sarà per sempre. Sfoglieremo il calendario, arriveremo all’estate e il primo pensiero sarà sempre per te, fratello acquisito per militanza, strappato alla vita a soli quarantasette anni. Per noi il 21 giugno sarà sempre sinonimo di quel tuo colpo da biliardo, sotto la Nord, sotto quel cielo zeppo di umidità. Stavamo sprofondando, quel portiere del Vicenza pareva Batman, volando da un palo all’altro all’altro per oltre un’ora. Poi ci hai pensato tu, intercettando quel tiro sbilenco del Poda, girandoti e scegliendo l’angolo più giusto. La zampata del pirata. Ci hanno fatto films, documentari, confezionando immagini che filano sempre dritte al cuore.
Ci sono laziali, caro Giuliano, che hanno vissuto una emozione intensissima quel pomeriggio bestiale di ventisette anni fa. Più marcata, addirittura, di parecchi trofei dell’era-Cragnotti, nella quale vincere era diventata una abitudine.
‘Due anni soltanto di Lazio e ci sei rimasto nel cuore?
Lo sai, i Laziali sono persone strane. Si innamorano e restano visceralmente legati a giocatori che, con l’esempio, incidono, lasciano un segno, una impronta. E quando avevamo capito che, nel ritiro di Gubbio – non appena arrivata la notizia della retrocessione in serie C1 – eri stato tu, ancora più di Eugenio, a chiamare tutti a restare, senza remore, dando tutto per la causa, ebbene, per noi, eri già in fuga verso l’Olimpo degli eroi, l’alveo dorato che lo racchiude tutti, senza distinzioni, Laziali dei primi del Novecento, del Dopoguerra fino agli artefici del primo scudetto.
‘Come non volerti bene, Giuliano, d’altronde? Non eri un fenomeno ma, sul campo, al novantesimo, lasciavi, sempre, ogni stilla di sudore, di energia. Guadagnavi gli spogliatoio con la maglia inzuppata, i capelli lunghi attaccati al dorso, la faccia truce. In quella stagione – quelle che giocammo costantemente in apnea per via di quella zavorra di nove punti – avevi indicato la strada maestra già dal girone di andata, in cui avevi realizzato gol pesantissimi. Quello col Catania. E poi le prodezze contro Bari, Modena, Triestina. Lo concepivi come una ingiustizia quell’handicap e lottasti come un leone, fino alla fine, per ridarci la vita sportiva. Le tue partite – lottate, combattute – erano sfide infernali. Usavi i gomiti, facevi sponde, prendevi calci, li restituivi. Il coraggio, la rabbia mai ti hanno fatto difetto. Con il carattere ci hai conquistato. Fino alla rasoiata del 21 giugno, il giorno che ti spetta per diritto: grazie alla tua prodezza la Lazio e’ tornata a vivere ed a prenotare il futuro.
‘Destati, Giuliano, affacciati da quello spicchio di Olimpo con i colori del cielo e dedicaci, se puoi, pensieri affettuosi. Quaggiù nessuno ti ha dimenticato. Quaggiù, ancora adesso, con la tua voglia di ribellarti a tutto ciò che era ingiusto, saresti stato un Laziale perfetto. Una risorsa a cui appellarsi in questa valle di lacrime’.