di Giorgio Bicocchi
Moriggi, Facco, Martini, Oddi, Polentes, Petrelli, D’Amico, Inselvini, Nanni, Re Cecconi, Franzoni, Garlaschelli, Manservisi: furono coloro che, a turno, presero parte al lungo Campionato Under 23, giocato il mercoledì, torneo che la Lazio, cinquanta giorni dopo aver vinto il suo primo scudetto, vinse, battendo, al termine di una ‘bella’ a Terni, la Fiorentina.
E gli altri, quelli che componevano la squadra allenata da Bob Lovati, chi erano? Snocciola i loro nomi, raccontandoli con immutato affetto, regalando per ognuno un piccolo affresco di campo e di vita, Giuliano Tinaburri (qui ritratto in una foto dell’epoca, nel corso di un palleggio a Tor di Quinto), oggi sessantunenne e stimato funzionario dell’Ina Assitalia, quaranta anni fa terzino arrembante della Lazio Primavera, spesso aggregato anche in ‘prima squadra’, un protagonista di quell’avventura. Che prese il via ad ottobre del ’73, concludendosi a fine giugno, sul prato dello stadio Liberati.
‘Avagliano era un portiere molto bravo – così Tinaburri apre l’album dei ricordi – proveniva da un paese del Sud portando tutta la voglia di sfondare. Era un amico, un bravissimo ragazzo. Trascorrevamo tanto tempo assieme, anche dopo aver finito gli allenamenti. Di Chiara decise subito dopo di andare via da Roma, cominciando a fare una discreta carriera. Mimmo Labrocca poteva sembrare un ragazzo burbero per via di quei baffi spioventi: era invece un timidone. Rosati, quando non giocavano Oddi o Polentes, era il libero. Anche nella Primavera, il sabato o la domenica, nel corso del Campionato, era il libero della squadra. Veniva dalla provincia, forse il fisico non era il suo cavallo di battaglia ma aveva un bel calcio. Insomma sapeva toccare la palla. Sambucco forse non catturava l’occhio ma era un ragazzo tignoso, che non mollava. Di Roberto Sesena, tra tutti, ho un ricordo un po’ sbiadito: l’ho seguito però da tecnico delle giovanili, anche della Lazio. Trobiani, sin da ragazzo, aveva le idee chiare: non a caso e’ diventato stimato dirigente di una tra le più belle realtà calcistiche romane, la Vigor Perconti.
Amato era un bel mediano, uno che correva, preciso nei passaggi. Un altro ragazzo del Sud, che sognava di diventare qualcuno. Ceccarelli veniva dai Castelli, agiva a destra, sull’altro versante c’era Castellucci. Sergio Borgo era di una educazione fuori dal normale: mai una parola fuori le righe. Ha giocato tanto, soprattutto a Pistoia, negli anni successivi, ma la sua mitezza d’animo la ricordo ancora. Vito Chimenti aveva una classe sopraffina: in allenamento faceva, con successo, pure la ‘bicicletta’, pensare un po’. Lo fregava il fisico, aveva la tendenza ad ingrassare. Tanto che Long John, spesso, diceva, vedendolo in allenamento: ‘E quello sarebbe il centravanti che mi dovrebbe sostituire? State freschi!’. Vito ebbe però un bella carriera a Palermo e fui contento per lui. Chirra gioco’ poco ma era una ragazzo con qualche eccesso: forse doveva ancora maturare. Castellucci era un ciociaro di Atina: timido, riservato, un altro bravo ragazzo. Coletta era un po’ la copia di Chirra, faceva il centravanti ma spesso esagerava. Qualche volta, in Primavera, si fece pure espellere, lasciandoci in dieci. Tripodi era scaltro, furbo, faccia sveglia, non si faceva mettere i piedi in faccia da nessuno’.
Nove partite disputate nel girone di andata, altrettante nel girone di ritorno. Poi i quarti di finale, vinti contro la Sampdoria. E la semifinale, battendo il Catania grazie all’aiuto della ‘monetina’, essendo finite in parità le due gare. Poi le tre partite di finale, contro i viola. L’andata del Flaminio, andata in scena il 16 giugno del ’74, decisa da D’Amico. Il ritorno a Firenze, perso due a uno. ‘All’epoca non vigeva la regola del gol segnato in trasferta, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno del ricorso alla bella’, ricorda Tinaburri. Un vero e proprio campionato, quindi, composto, sommando il tutto, da venticinque gare complessive stagionali. L’ultimo atto di quel torneo che – nelle gare al Flaminio, giocate di mercoledì, era solito richiamare tra le cinque e le ottomila persone – si svolse a Terni, il 25 giugno del ’74, in campo neutro, contro la Fiorentina.
‘Ma ricordate l’undici schierato dalla Fiorentina quel pomeriggio? Era una squadra tutta composta da giocatori che avrebbero sfondato…’ Hai ragione, Giuliano, la precisazione giova e aumenta i meriti per quella vittoria perché i viola andarono in campo con gente come Parlanti, Prestanti, Restelli, Roggi, Bresciani, Guerini, Saltutti, Antognoni, Desolati. Ma pure la Lazio, caro Giuliano, per amor di verità, era uno squadrone. Lovati, in quel decisivo pomeriggio umbro, schierò, tra gli altri, Moriggi, Martini, Re Cecconi, Oddi, D’Amico e Franzoni. Con Nanni e Manservisi in panchina, tutti freschi ‘scudettati’. A corredo di questa doverosa rievocazione, il Centro Studi pubblica allora anche copia di un articolo de ‘Il Corriere dello Sport’, che, il giorno dopo quel trionfo, celebrò quella squadra.
La ‘bella’ fini’ in goleada, quattro a zero e tutti a casa: sblocco’ Martini, poi, nella ripresa, ecco una doppietta di Franzoni e un altro gol di D’Amico, giovanissimo e quindi immarcabile. Sul pullman, tornando verso Roma, cinquanta giorni dopo aver vinto il suo primo scudetto, Umberto Lenzini festeggio’ un’altra Lazio col tricolore sul petto. (fine prima puntata)