di Giorgio Bicocchi
Piola, Flamini, Ferri, Monza, Romagnoli, Baldo, Puccinelli, Ramella, Gradella, Fazio, Antonazzi, Lombardini, Koenig, Giubilo, Alzani: sono solo alcuni dei compagni (e che compagni…) che furono accanto a Salvador Gualtieri – argentino di Buenos Aires, gradualmente innamoratosi della Lazio e della città di Roma – nella sua avventura sotto il simbolo dell’aquila.
Che inizio’ nel 1940 per concludersi solo nel 1949, in mezzo la vittoria nel Campionato Romano del 1943-44.
Proprio oggi ricorre il sedicesimo anniversario della morte di uno dei giocatori più bravi e più completi tecnicamente della nostra squadra. Salvador Gualtieri, classe 1917, scomparso il 18 dicembre 1998, era essenzialmente questo: un centrocampista di grande tecnica e temperamento. Capace di lanci e cambi di gioco quasi ad occhi chiusi, dotato di un tiro forte e preciso, eccellente pure in acrobazia: insomma, uno di quelli che – nella zona nevralgica del campo – sapeva essere decisivo.
Ammiratelo in questa foto a lato, in cui oggi il Centro Studi lo commemora: e’ il ritratto di un ragazzo sorridente, fasciato dalla nostra bellissima casacca. Quella dell’epoca, col bordo bianco a girocollo. Gualtieri – come spesso e’ accaduto nella nostra storia – si innamoro’ della Lazio, della sua gente e della sua tradizione. Forse perché divenne, dopo la guerra, capitano? Forse perché a Roma trovo’ moglie? Forse perché decise di investire i guadagni in una attività commerciale nel centro di Roma? Sommate tutti gli eventi, forse troverete la risposta. Gualtieri fu uno che alla Lazio diede molto e non solo in termini di presenze (quasi 160 presenze complessive) e fedeltà. Resto’ alla Lazio, ad esempio, quando la guerra era spettro crudele, non seguendo molti suoi connazionali che preferirono imbarcarsi sui piroscafi raggiungendo nuovamente il Sudamerica. Da ragazzo intelligente aveva il fiuto degli affari: assieme all’amico di sempre, Ramella, fu imprenditore di caffè in Brasile. Il richiamo della Lazio, però, divenne troppo forte: torno’ in città all’inizio degli anni Sessanta, riciclandosi pure collaboratore tecnico di Lorenzo. Festeggiando in Tribuna Monte Mario, assieme ai nipoti e agli amici di una vita, la vittoria del primo scudetto. Il titolo che insegui’ invano in campo, difendendo con classe e ardore i nostri colori.