di Giorgio Bicocchi
Fino a due mesi fa gli auguri, a Lele Pin, avrebbero valicato la vecchia Europa arrivando fino sul Bosforo. Era qui che, dal giugno scorso, il vecchio capitano della Lazio viveva e lavorava, al seguito di Cesare Prandelli, piombato ad Istanbul, sponda Galatasaray, quasi per sfuggire dagli spettri del Mondiale brasiliano. Poi, a novembre, l’esonero e il ritorno a casa, a Vittorio Veneto.
Oggi Gabriele Pin, mediano della Lazio dall’86 al ’92, quasi duecento presenze in sei, diversissimi campionati l’uno dall’altro, compie cinquantaquattro anni: con la nostra maglia addosso ha dato tanto. Senza mai strepitare, urlare, anima silenziosa ma presente di una Lazio passata dall’incubo della quasi serie C ai confini della ritrovata Europa.
Lo ritroviamo accanto a Fascetti e Caso, nell’estate afosa dll’86, nel ritiro umbro di Gubbio quando, dopo la sentenza della Disciplinare, pareva tutto perduto, la serie C zavorra ingombrante. Poi il verdetto della CAF, la cadetteria ritrovata seppure col fardello della maxi-penalizzazione. Lui, Giuliano, Antonio, Eugenio, il Poda: ecco gli eroi di quell’annata straripante, con migliaia di Laziali che popolavano l’Olimpico per urlare, a domeniche alternate, il loro senso di appartenenza. Date un’occhiata a ciò che compare dietro la foto acclusa di Lele Pin, addosso la rigorosa maglia Laziale con l’aquila stilizzata targata ‘Tuttosport’: c’è una Tribuna Tevere che pulsa passione.
Pin, da capitano dopo l’addio di Mimmo Caso, ha guidato da centrocampo Lazio d’assalto. Come quella che guadagno’ la promozione con i gol invernali di Monelli e quelli primaverili di Rizzolo. Poi in A ecco la triade di metà campo composta da lui, playmaker con tanto fosforo, Icardi e Sclosa. Era la Lazio di Materazzi, che lanciava Di Canio e si divertiva col funambolo di Montevideo, Ruben Sosa. Calleri allargava gradualmente gli orizzonti, piazzando i colpi Riedle, prima, e Doll, poi, e Pin, la’ dietro, nella zona del campo dove le partite si vincono, c’era sempre. Capitano quando Zoff era in panchina, in quelle annate con l’Uefa obiettivo sbandierato e mai centrato. Quando arrivo’ Gascoigne e la Lazio torno’ a respirare l’aria dell’alta classifica, Pin disse basta, chiedendo di andare a giocare in un ambiente più ovattato: a Parma, quasi che in quell’improvvisa opulenza, lui che la Lazio aveva contribuito a rialzare da un capezzale che pareva infinito, non si riconoscesse più.
Di Lele Pin tornano alla mente la serietà, lo stile, l’abnegazione: e’ stato – a conti fatti – uno dei capitani più applauditi delle nostra storia. Bello oggi ricordarsi di lui e mandargli, come innamorati che non dimenticano il passato, un mucchio di auguri.