E’ semplicemente uno squarcio su un segmento di vita del nono fondatore: Giacomo Bigiarelli. Il fratello di Luigi, il bersagliere, uno degli scampati della battaglia di Adua, che dribblò la morte – come ricordarono, nell’ambito della commemorazione tenutasi lo scorso 9 gennaio nel cimitero di Ixelles, alcuni rappresentanti dell’Esercito – perché sapeva correre come il vento. Luigi e poi Aloisi, Lefevre, Mesones, Balestrieri, Grifoni, Massa, Venier. Le leggende di piazza della Libertà, i fondatori della Lazio. Tutti con una storia ricostruita abbondantemente, se non al 100% vero e proprio. Tutti con una fine certa ed una tomba per l’oblio.
Di Giacomo, figlio di Mariano Bigiarelli, persisteva invece un alone di mistero. Non si sapeva che tipo di vita avesse condotto, dall’inizio del Novecento in avanti. Si ignorava quando fosse morto. E dove sia sepolto.
Per carità, chiariamo subito un concetto: la ricerca che il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento consegna oggi al popolo Laziale non svelerà dove, in che luogo, in Italia o in chissà quale altro spicchio del mondo, è sepolto Giacomo Bigiarelli. L’approfondimento contribuisce però ad alzare il sipario su un ampio arco temporale della vita di Giacomo, il nono fondatore, quello dietro al quale gli storici Laziali – o i semplici appassionati amanti delle ricostruzioni – avevano perduto persino il sonno.
Perché la vita della Lazio, converrete, da quasi 114 anni ad oggi, è un formidabile scrigno di storie, di emozioni, di palpiti del cuore, scritte da atleti, da agonisti, da campioni ma pure da uomini e donne qualunque.
Roma, 25 luglio 1877: dopo due anni dalla nascita di Luigi, viene alla luce Giacomo Bigiarelli. Ecco il dato dal quale partire, certo ed inequivocabile. A venticinque anni, nel 1902, Giacomo emigra a Bruxelles, aprendo una attività commerciale con il fratello Luigi. Ecco un’altra certezza, documentata. Dei due fratelli Bigiarelli, infatti, si persero le tracce per oltre un secolo fino a quando – grazie al documento acquisito in originale dal Centro Studi – venne accertato, nel febbraio 2011, che Luigi era morto il 16 febbraio 1908. E non il 1° marzo come fino ad allora sostenuto.
Dal cuore della vecchia Europa, Giacomo cominciò a sognare una vita diversa. Immaginandola – come vedremo tra poco – pure in un altro continente, una sorta di “terra promessa”, all’epoca, per milioni di connazionali. Nulla si seppe di lui: qualcuno arrivò persino a sostenere che fosse morto prima di Luigi. In realtà Giacomo era vivo: probabilmente fu proprio lui che corrispose i diritti cimiteriali per la concessione della tomba del fratello. In assenza di rinnovo alla scadenza della concessione, la salma di Luigi venne trasferita in un ossario comune, dove giace tutt’ora, ad Ixelles, il campo di calcio di una associazione sportiva belga a pochi metri, quasi un segno del destino. Perché Giacomo Bigiarelli non pagò il rinnovo della concessione della tomba? Semplicemente perché aveva lasciato Bruxelles. Coltivando nuovi orizzonti dopo la chiusura dell’attività commerciale che aveva intrapreso col fratello maggiore.
Ma chi era Giacomo? Da dove ha origine la ricerca che il Centro Studi propone agli appassionati dei nostri colori? Abbiamo trovato due riferimenti sulla famiglia Bigiarelli nelle Gazzette Ufficiali del 13 ottobre e del 17 novembre 1911 che vi potrete divertire a leggere all’interno della galleria di allegati a corredo di questa romantica ricostruzione. Una storia zeppa di avventure, di sogni, evidentemente di speranze. Bene, il nome di Giacomo Bigiarelli è contenuto in una citazione del Tribunale Civile e Penale di Roma, intentata da Cesare Bigiarelli, peraltro mai comparso nelle ricerche genealogiche della famiglia, per questioni ereditarie. In questa citazione non si parla di Luigi, evidentemente già defunto. Viene però convenuto in giudizio Giacomo, “di domicilio sconosciuto”, vi si legge. L’oggetto del contendere è un legato del valore di ottomila lire disposto – per il tramite di un testamento olografo – dalla vedova di Mariano Bigiarelli (il papà di Luigi e Giacomo), la signora Giulia Bellotti, in favore di Maria Bigiarelli, la figlia dell’istante della causa, Cesare. Cosa scaturisce dalla prima ricerca, portata a compimento dal Centro Studi? Emergono due certezze, a meno di una incredibile omonimia accompagnata ad altrettante incredibili coincidenze circa i nomi che ritroviamo a lui associati nella ricerca. La prima, la più significativa: alla fine del 1911 Giacomo è ancora in vita. La seconda: Giacomo ha perso qualsiasi contatto con la propria famiglia di origine. Non si trova più a Bruxelles, nessuna sa dove sia.
Invece, il secondo dei due fratelli Bigiarelli, il più piccolo, il nono fondatore della Lazio, era salito – due anni prima – a Genova, imbarcatosi sopra un piroscafo che aveva l’America, dopo aver fatto tappa pure a Napoli, come destinazione. La seconda parte – davvero intrigante – della ricerca di Giacomo parte da qui. Dalle colline che sovrastano il porto di Genova. Dalle navi ansimanti che puntano il timone verso lo Stretto di Gibilterra, filando verso la “terra promessa”, lo sconfinato continente americano. Luoghi di riscatto. O di riabilitazione, per molti nostri emigranti. Giacomo acquista un biglietto al molo della Compagnia North Germann Lloyd. Si accomoda sul ponte, il vento gli scompiglia i capelli. La Lazio è stata già fondata, da lì ad un paio di anni – figuratevi – la squadra del calcio andrà vicina alla conquista del suo primo scudetto, sconfitta in finale dalla Pro Vercelli. Proprio a Genova, in una finale secca, senza repliche. Giacomo trova posto sulla nave “Prinzess Irene”. Il comandante tedesco lascia il porto il 7 dicembre 1909, direzione Ellis Island.
E’ l’isolotto della baia di New York la meta prediletta. Al giorno d’oggi colorati traghetti, ormeggiati a Manhattan, a Battery Park, collegano Ellis Island e la Statua della Libertà con la “Grande Mela”. Gli emigranti sbarcavano qui: fu un flusso ininterrotto, dalla fine del Novecento fino ai primi anni Cinquanta, quando il porto d’arrivo (e della speranza) per entrare negli Stati Uniti diventò un apprezzato e visitatissimo Museo, una delle sicure attrattive per coloro che, oggi, visitano New York.
Suggestivo il fatto che Giacomo Bigiarelli sbarchi in America, sceso dalla “Prinzess Irene”, il 24 dicembre 1909. E’ la vigilia di Natale: chiudete gli occhi, immaginate lo sbarco. Dopo diciassette giorni di navigazione, dopo che le onde dell’oceano avevano sbattuto sovente contro la fiancata del piroscafo, i passeggeri intravedono la sagoma di New York. Giacomo è lì con loro. Ha sepolto Luigi, ha lasciato da tempo Roma. Pensava di stabilirsi – chissà – a Bruxelles. Poi la morte del fratello cambiò evidentemente ogni cosa. Sconvolgendo i suoi programmi. In famiglia non poteva tornare: di lì a due anni gli sarebbe arrivato, se solo glielo avessero notificato, l’atto di citazione di un ramo della propria stirpe. Giacomo sbarca. Con un nome sbagliato, però. Già, il sito di Ellis Island – lo stesso che, qualche giorno fa, ha permesso di ricostruire il giorno dello sbarco dei nonni del nuovo Sindaco di New York, l’oriundo italiano Bill De Blasio – lo registra ancora come Gracomo Bigraielli. Ottenuti altri successivi riscontri che, tra qualche riga, vi sveleremo, il Centro Studi si è messo in contatto con la Fondazione di Ellis Island per chiedere la correzione del nome. In quell’elenco di passeggeri sbarcato dalla nave tedesca “Prinzess Irene”, insomma, non comparirà più l’errata denominazione Gracomo Bigraielli ma il nome vero, reale del fratello di Luigi, il viaggiatore errabondo, il Laziale che mancava all’appello.
Perché siamo sicuri che Gracomo era in realtà Giacomo, che, insomma, l’addetto al registro di Ellis Island commise un errore nella trascrizione? Semplice, nella lista dei passeggeri – documento che puntualmente alleghiamo – c’era Giacomo Bigiarelli, ormai quasi trentatreenne. L’ultimo domicilio indicato in Roma? Via della Pace n.2, presso la “sorella, signora Bellotti”. Ecco perché i conti tornano. Grazie, infatti, alle ricerche condotte a buon fine da LazioWiki, esaminati i documenti della Strenna dei Romanisti del 1940, sappiamo che Giulia Bellotti era la seconda moglie di Mariano Bigiarelli, il papà di Luigi e Giacomo.
Giulia Bellotti, peraltro, dovette vivere non a lungo, se è vero che la Gazzetta Ufficiale del 1911 riferiva di un suo testamento olografo.
Ma Giacomo dove era diretto? Sui registri di Ellis Island, superate le visite mediche di rito (duravano quattro giorni), concesso l’ingresso nel territorio americano, compare il nome di Chicago come destinazione finale. Da New York all’Illinois, pertanto. Non sappiamo ancora che tipologia di lavoro abbia intrapreso Giacomo a Chicago. Chi lo abbia ospitato, se un uomo o una donna. Dimora, però – lo si desume dal registro di sbarco – in Grand Boulevard, uno dei grandi quadranti della città, vicino al porto. Quanto tempo Giacomo resta a Chicago, o in zone limitrofe? Certamente fino al 1911, dunque più di un anno e mezzo dallo sbarco avvenuto la vigilia del Natale 1909. Presumibilmente Giacomo farà ritorno in Europa, chissà, seppure sull’orlo ormai della Prima Guerra Mondiale. Supposizioni, peraltro, non suffragate dai fatti. Neppure dagli indizi. Un cono d’ombra sul quale stiamo lavorando. Perdiamo le tracce di Giacomo fino al 1918. Passano sette anni. Lo incrociamo sul molo di Glasgow, in Scozia, dove acquista un biglietto della Compagnia Donaldson. Anche stavolta l’intento è quello di varcare l’Oceano. La nave si chiama “Cassandra”, un altro nome del mistero. Giacomo Bigiarelli è un suo passeggero. Salpa da Glasgow in primavera, il 4 maggio 1918, arrivando a Montreal, in Canada, sedici giorni più tardi.
Da Montreal, in Quebec, oggi offrono comode crociere per raggiungere New York. Cabine spaziose, tariffe moderatamente care, da Halifax il traghetto scende fino a Boston, risalendo gradualmente fino ai moli di Manhattan. Montreal, Canada, alla foce del grande fiume San Lorenzo.
La storia prosegue, i capitoli si succedono, chissà quanti di voi vorrebbero conoscere l’epilogo.
Abbiamo recuperato un documento di transito da Montreal a New York di un certo Giacomo De Cupis o De Cupio Bigiarelli di Roma. Riecco New York, come nove anni prima. La destinazione finale di Giacomo è la filiale del Banco di Napoli, inaugurata circa un decennio prima. Evidente, allora, come il secondo dei Bigiarelli avesse ormai abbandonato la precedente attività commerciale, quella intrapresa, all’inizio del secolo, a Bruxelles, assieme a Luigi. Dalla lista dei passeggeri, redatta il 24 maggio 1918 presso la frontiera tra Canada e Usa di Saint Albans, nello Stato del Vermont, si ricavano numerosissime informazioni.
Vi sarete certamente chiesti: perché compare il nome De Cupis o De Cupio? Tranquilli, era sempre Giacomo, il nostro uomo. Italo De Cupis, infatti, era il cognato di Giacomo, il marito di Pia Bigiarelli, una delle due sorelle. Giacomo usa il nome del cognato. Forse perché Italo si era anch’esso trasferito negli Stati Uniti? Tutto può essere.
Ma perché Giacomo decise di varcare nuovamente l’Atlantico, emigrando in Nord America? Per inseguire un impiego sicuro, per fare fortuna, probabilmente, al pari di tanti altri nostri connazionali dell’epoca. L’età indicata nel documento, datato maggio 1918, di transito da Montreal a New York di Giacomo de Cupis o De Cupio Bigiarelli è di 39 anni. Giacomo, nato nel 1877, doveva averne, fatti due conti, 41. Qui però soccorre una aggiunta presente nella scheda di transito: riferisce, infatti, che la data di nascita di quell’uomo è approssimativa. Ci siamo, allora: Giacomo Bigiarelli tornò per la seconda volta negli Stati Uniti. Altre informazioni desunte dalla scheda di sbarco: non era sposato. Portava una cicatrice: segno distintivo che, invece, non compariva quando sbarcò, anni prima, a New York. Una ferita di guerra? Il retaggio di una rissa, fuori da un saloon? Tutte le ipotesi sono plausibili. Altre informazioni presenti nella scheda. Tutte interessantissime. In una vi si riporta che Giacomo conoscesse bene la lingua inglese, scritta ed orale. L’aveva evidentemente perfezionata nel soggiorno di un anno e mezzo vissuto a Chicago. L’occupazione? Piccolo colpo di scena. La scheda parla di “contract laborer”. Una sorta di consulente, quello che oggi chiameremmo un lavoratore co.co.co. Non a tempo indeterminato, magari assistito da un contratto a progetto. E qui i documenti e le ricostruzioni collimano. Le ricerche effettuate, infatti, indicano che, a seguito della vasta massa di connazionali presente nel Nord America, il Banco di Napoli riconobbe la necessità di inaugurare nuovi uffici in loco, coordinando più proficuamente le proprie attività. Venne così costituito nel 1906 l’ispettorato di New York, negli uffici del Consolato Generale. Quindi venne istituita la prima agenzia di New York che, dal 1907, a fronte di un intenso lavoro di propaganda, riuscì a quintuplicare la raccolta e trasmissione delle commesse. Fu un successo, insomma, una lungimirante intuizione dell’istituto di credito partenopeo. Vennero nominati un gran numero di corrispondenti. Successivamente venne aperta l’agenzia di Chicago (nel 1917) e la seconda a New York (nel Bronx, l’anno successivo). Si iniziò a dragare pure il continente sudamericano e uffici di corrispondenza vennero così inaugurati in Brasile e a Buenos Aires.
Da informazioni acquisite presso l’Archivio Storico della Fondazione Banco di Napoli, purtroppo, non risulta il nome di Giacomo Bigiarelli tra i dipendenti delle filiali americane dell’epoca. Bisogna pertanto dedurre che sia stato assunto direttamente negli Stati Uniti o che avesse una sorta di consulenza esterna, così come ipotizzato ed indicato anche dal Direttore dell’Archivio Storico della banca partenopea.
Ecco, dunque, come si era evoluta la vita di Giacomo. Da Bruxelles, sepolto il fratello Luigi, fino a diventare un esperto di cambiali, magari prestiti indicizzati. Non vi sono indicazioni di parenti. Tantomeno di amici italiani, nonostante “Little Italy”, ormai, sia diventata una parte importante, colorata e colorita, di New York. Dalla scheda, soprattutto, la conferma che nel periodo dal 1909 al 1911 Giacomo Bigiarelli visse – e probabilmente lavorò – a Chicago, Illinois.
Giunti a questo punto, riavvolgiamo il filo di questa storia: ci sono prove documentate che hanno rivelato come Giacomo Bigiarelli abbia vissuto diversi anni in Nord America. Lo capirete da soli: la ricerca è ancora “in itinere”: troppi, ancora, i coni d’ombra. Dove finì, ad esempio, Giacomo dal 1911 al 1918, negli anni, ovvero, in cui lasciò gli Stati Uniti? Tornò in Italia? A fare cosa? Perché si imbarcò nel maggio del 1918 da Glasgow? Raggiunse la Scozia da un’altra capitale europea? O aveva soggiornato magari a Londra, arricchendo la conoscenza dell’inglese?
E’ per questo che, in un afflato di Lazialità, il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento chiede un supporto ad appassionati storici, archivisti, vecchi impiegati di banca, amanti di New York e delle sue storie, abbinate ad emigranti italiani, per dipanare (o provare quantomeno a farlo…) questo enigma. Bello, romantico, assolutamente coinvolgente perché riguarda mica uno qualunque ma uno dei nove fondatori di quell’ideale, la Lazio, che accompagna molti dei nostri giorni.
Per ora la ricostruzione si ferma qui. Come un “giallo” che si rispetti attende la stesura degli ultimi capitoli. Che il Centro Studi – qualora non ce la facesse da solo – vorrebbe condividere con tutti coloro che, laziali o semplici appassionati di storia, desiderino contribuire.
C’è un pezzo delle origini della nostra Lazio da chiarire. E non è davvero poco. Una storia zeppa di speranze, chissà se concretizzate o tradite. Prendersi, lasciarsi, ritrovarsi. Mollata l’Italia, salito su un piroscafo, due volte nell’arco di meno di dieci anni, sfidando la sorte. Fu questo l’”american-dream” di Giacomo Bigiarelli, riannodato, sessant’anni dopo, a voler essere romantici come in fondo siamo, da uno dei nostri condottieri più amati: Long John Chinaglia, il formidabile demiurgo, più di Pelé, del soccer d’Oltreoceano.
Uno spicchio di vita che il Centro Studi ha ricostruito, gettando ora l’amo a chiunque volesse contribuire – assieme a noi, confrontandoci in un dibattito aperto – per chiudere il cerchio. Provando a focalizzare il resto della vita raminga di Giacomo, cittadino del mondo. Vissuta, chissà, fino a che età. Una storia che, al netto di quello che sarà stato l’epilogo, pare tutta nostra. Laziale, of course.
(c.s.)