di Giorgio Bicocchi
Le quasi duecentonovanta presenze complessive in dieci anni di Lazio – che lo collocano tra i nostri giocatori più fedeli – avrebbero meritato maggiori riconoscimenti sul campo. Invece, Idilio Cei, numero uno pistoiese, nato nel ’37, morto ad appena 59 anni, visse la sua favola Laziale – lui erede, in porta, di Bob Lovati – all’inizio della parabola societaria.
Quella che tra carte bollate, cause, controversie, solenni litigate, debiti non onorati, rose troppe esigue, scaravento’ la Lazio – per la prima volta nella sua storia (era il 1961) – in serie B.
Cei Zanetti Garbuglia: ai suoi tempi la linea, dal portiere ai terzini, di quella Lazio era una sorta di cantilena. Cambiavano gli altri ruoli, gli altri interpreti ma non le maglie dall’uno al tre. Inizio’ coprendo le spalle a Bob, nella stagione 1958-59, la stessa in cui, a settembre, proprio all’inizio dell’anno, festeggiammo lo storico squillo in Coppa Italia, il primo della nostra storia. Gioco’ con Governato, Morrone, Carosi, Pagni, Gasperi, Landoni, Marchesi, Moschino, Rozzoni, Bagatti, tanto per citarne alcuni. Visi e volti di una Lazio coraggiosa ma arida tecnicamente.
Venne allenato, in ordine sparso, da Bernardini, Carver, Mannocci, Neri, Lorenzo, con il quale la squadra riconquisto’ la serie A. La Lazio, in quegli anni, non ricca e senza pianificare il futuro, perse molte sue identità. Come, ad esempio, la storica sede di via Frattina, sostituita dalle nuove residenze di via Rossini e via Nizza. Idilio, superbo nelle uscite basse, portiere dalla grande forza e dal fisico compatto, visse il breve periodo di Brivio presidente, abbracciando poi l’ascesa di Umberto Lenzini, l’uomo venuto dal Colorado per invertire la storia della Lazio.
Con la nostra maglia, testimone di anni in cui la Lazio fu squadra-ascensore, salvandosi e retrocedendo, Cei rimase fino all’arrivo di Rosario Di Vincenzo. La Lazio – era la fine degli Sessanta – si stava avviando a vivere il periodo più bello e romantico della sua storia. Quello coinciso con le prodezze di Long John, le corse di Cecco e le parate di Felice.
Ecco, tornando al ruolo, Idilio Cei, per gli anni in cui resto’ con l’aquila sul petto, le parate miracolose, la sicurezza che seppe infondere al reparto, merita di essere annoverato tra i grandi numeri uno della nostra società. Al pari di Sclavi, Gradella, Lovati, Sentimenti IV, Pulici, Marchegiani, Peruzzi. Triste che se ne sia andato presto, omettendo, suo malgrado, di raccontarci dal vivo anni di Lazio e di Roma (intesa come città che ospito’ i Giochi del ’60) zeppe di aneddoti.