C’era una volta la Tribuna Tevere, quella con i sedili color verde militare. L’ombrello di Pasqualino faceva capolino un quarto d’ora prima dell’inizio di ogni gara. Rigorosamente aperto, zeppo di ninnoli e pennacchi. Pasqualino De Marzi, nato a Tivoli nel 1908: in Tevere era una sorta di istituzione. Lo scorgevi e quasi ti convincevi che la Lazio fosse gia’ in vantaggio. La Lazio, per lui, divenne ben presto una compagna di vita. Pure in Libia, nella guerra d’Africa, quando cerco’ di far diventare Laziali tenenti e caporali.
Fece il tifo e vide giocare Piola, mica uno qualunque. Un formidabile esponente dell’essere laziale a priori, senza remore, come dovrebbe essere sempre un tifoso disinteressato, appassionato solo dei colori che sventola. Le trasferte più belle Pasqualino le visse con il Lazio Club Maestrelli. Fuori casa e nel suo Olimpico, Pasqualino entrava con una grande bandiera Laziale, una tromba per svegliare gli attaccanti e il suo proverbiale ombrello, che il Centro Studi – come testimoniato dalle foto a corredo di questo bel ricordo – ha strappato all’oblio.
Oggetti scaramantici, ovvio, che Pasqualino portava sempre con se’. Di tifosi come lui, nello schizzofrenico pallone di oggi, fatto di pay-tv, partite dal lunedì alla domenica sera, non ce sono più. Guai a chi gli toccava la Lazio. Accompagnato dalla figlia Maria Antonietta partecipò alla sfilata, all’Olimpico, per festeggiare il primo scudetto. Ebbe una particolare sciagura, Pasqualino: forse per ripicca, chissà, due suoi figli, un maschio ed un’altra femmina, scelsero di tifare per la seconda squadra di Roma. Uno smacco per un tipo orgoglioso e laziale fino al midollo come lui, che definì (simpaticamente ma non troppo) quei due suoi eredi “estranei in una casa onorata”.
Morì nell’88, Pasqualino, accompagnato nell’ultimo viaggio da quella grande bandiera Laziale che aveva sventolato per anni, noncurante di alcuni rovesci e delusioni. Un tuffo nel passato, la storia di Pasqualino, snodatasi in un Olimpico che (purtroppo) non c’è più. Che farà senz’altro felici i laziali che, con smodata nostalgia, lo ricordano.