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Maura Furlotti: ‘Scudetti e Coppe, ecco la mia Lazio’
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di Giorgio Bicocchi

S.S. Lazio Calcio Femminile 1-wVent’anni fa Maura Furlotti decise di ritirarsi dall’attività agonistica e si chiese: ‘adesso cosa faccio?‘ Le venne in soccorso un medico. ‘Perche’ non inizi a fare un corso per infermiera?‘ Eccolo, allora, il futuro che l’attendeva: dopo ventidue anni di Lazio, scudetti, Coppe, finali per qualcosa di sempre bello in palio, la fascia di capitano al braccio, una miriade di compagne al fianco, Maura Furlotti e’ diventata una stimata infermiera professionale di un ospedale del Centro di Roma.

Classe ’57, e’ bastato chiamarla, fissare un appuntamento e Maura, d’incanto, si è sciolta, riavvolgendo stagioni di Lazio belle (parecchie, per fortuna) e deludenti (di meno, per fortuna). Quattro scudetti, due Coppe Italia, la maglia azzurra. I tecnici della Lazio femminile. Le straniere, puntualmente abbracciate dopo ogni prodezza. Il Flaminio, lo stadio in cui sentirsi regine. Gli allenamenti sui campi della periferia. Le trasferte in pullman, con i viaggi che spesso iniziavano quando il sole doveva ancora sorgere. Il suo evolversi da giocatrice: prima terzino, poi libero, prima che qualcuno inaugurasse la locuzione ‘centrale dominante’, che rende tanto esperti.
Ecco, in ordine assolutamente sparso visto l’ampio segmento temporale della sua storia agonistica, il suo album dei ricordi. Conditi, qua e la’, da una malinconia struggente.
Ogni tanto mi capita di vedere in televisione le partite di calcio femminile e un senso di tristezza mi avvolge. Impianti vuoti, poche decine di spettatori. Mi chiedo: che cosa e’ accaduto? Rimini, 1977, prima nostra Coppa Italia. Battemmo il Milan e al ‘Romeo Neri’ affluirono quasi diecimila spettatori. E il Flaminio, ve lo ricordate? Giocavamo di sabato pomeriggio, sembrava una festa. Tremila spettatori a partita e mica gran parte erano nostri parenti o amici come qualche buontempone pensava… Fu Ferruccio Mazzola, nostro allenatore per un paio d’anni, a farmi retrocedere al centro della difesa, io che ero partita giocando da attaccante e poi, lentamente schierata sulla fascia destra. Ferruccio mi diceva che avevo piedi buoni e che ero una sorta di centrocampista aggiunto: il ruolo mi è piaciuto subito. Mi sentivo importante. Sono state stagioni belle, coinvolgenti. Il gruppo, innanzitutto, guai a chi ce lo toccava. Passavamo tante ore assieme, cementando amicizie fortissime. Ricordo gli allenamenti, che si svolgevano talvolta su campi di periferia. A Ponte Mammolo, il campo dei Ferrovieri ai Prati Fiscali, a Campagnano. Giocavamo il sabato dopo pranzo in Emilia o in Lombardia? Partivamo col pullman alle sei del mattino, con la busta dei panini adagiati sul sedile, accanto a noi. Nel viaggio capitava di confrontarci sui temi della vita, dell’amicizia. Dei valori. Molte di noi provenivano da paesi stranieri: usi, costumi, perché no?, anche canzoni diversissime. Le amicizie più vere? Con Antonella Del Rio, forse, che segno’ uno dei due gol con i quali, nell’80, vincemmo il secondo scudetto battendo in uno spareggio il Gorgonzola. Le compagne più forti con le quali ho giocato? Tante, all’epoca la Lazio, targata Lubiam e non solo, era un colosso. Penso a Ida Golin, una specie di Caterpillar in campo. Al portiere, Eva Russo, ragazza con un carattere grande così. A Carolina Morace, determinatissima, presente nella rosa della squadra che vinse lo scudetto nell’87, nella bella foto acclusa. L’altra istantanea a corredo di questa mia bella ricostruzione? Raffigura le compagne che vinsero lo scudetto dell’80: il gruppo composto da Ciceri, Del Rio, O’Brien, rimasta a vivere, da mamma, in Italia. Le straniere più complete tecnicamente? Augustensen, O’Brien, Concita Sanchez, la classe al potere.
S.S. Lazio Calcio Femminile 2-wAnni che hanno sommato gioie, soddisfazioni ma pure preoccupazioni perché per la società i soldi parevano, spesso, non bastare mai. Ecco allora che si mobilitavano i Laziali veri, quelli a cui potevi rivolgerti per qualsiasi problema: Buccioni, Tonello. Gli allenatori più bravi che ho avuto? Celini, Guenza, Mazzola. I presidenti più amati? Loreto Rutolo e poi Valbonesi, che adesso mi dicono viva in Africa. Perché fini’ la mia storia con la Lazio? Perché mi ruppi un ginocchio e la società dell’epoca non mi aspetto’, preferendo così non rinnovarmi il contratto. Giocai ancora ma non a Roma: non serbo rancore, figuratevi, la Lazio mi ha dato tutto. Dicevano che avessi dietro una famiglia romanista? Colpa di mio fratello ma io amo la Lazio femminile. Che cosa vorrei? Che il calcio femminile riguadagnasse le attenzioni di trent’anni fa. Ricordate gli spazi sui giornali? Mezza pagina o quasi sui quotidiani sportivi. E pure i giornali non sportivi seguivano il nostro campionato. Erano attenzioni che nobilitavano un intero movimento. Oggi questo oblio del calcio femminile praticato dai media allontana il pubblico ed i potenziali sponsors. Alla Lazio femminile auguro di tornare a riprendersi la storia: non può esserci calcio vero in Italia senza confrontarsi con il passato zeppo di gloria che la Lazio esprime. Al quali tutte noi, un po’ per volta, abbiamo dato tanto‘.
Maura Furlotti, ex-capitano della Lazio femminile, scudetti e Coppe a raffica in bacheca: così ha raccontato al Centro Studi la sua vita Laziale.

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