di Giorgio Bicocchi
Per i Laziali i “Maestri” non sono Arrigo Sacchi e Zdenek Zeman (come tradizionalmente riconosciuto nel mondo del pallone) ma solo e soltanto Roberto Mancini. Il “Maestro”, appunto, così come lo chiamò Bobo Vieri al Tardini di Parma dopo che il Mancio aveva realizzato di tacco, nella porta sotto la quale erano assiepati i nostri tifosi e al cospetto di un impietrito Buffon, il più bel gol della sua smisurata carriera.
Vissuta facendo gioire, da giocatore, Samp e Lazio, non abituate a cucirsi sul petto il tricolore, riportando in cima alla Premier League – da allenatore zeppo di intuizioni – il Manchester City, tanto per ricordare uno dei suoi tanti acuti in panchina, per anni soggiogato dal fascino immortale dello United. Un uomo costantemente controcorrente e, per questo, coinvolgente.
Oggi Roberto Mancini compie 50 anni ed è consequenziale che ogni Laziale che si rispetti gli dedichi un augurio speciale e carico di nostalgia, nonostante tra, meno di un mese, sarà nostro irriducibile avversario (in Inter-Lazio del 21 dicembre). Perché Mancio, arrivato (da svincolato) nella Lazio di Cragnotti, cambiò coi fatti il modo di approcciarsi al pallone dei nostri tifosi. Che non erano abituati a vincere, a dettare legge in Italia e in Europa e che invece, con lui in campo o in panchina (vincemmo la Coppa Italia del 2004, eliminati in semifinale di Coppa Uefa, l’anno precedente, dal Porto di Mourinho) si ritrovarono d’incanto a sfidare la sorte e il destino, sovente colorandoli di bianco e di celeste, senza piu’ temere rovesci. Questione di mentalità, un cambio di passo repentino del nostro Sodalizio a cui Roberto, eccome, fornì un contributo decisivo, importando e diffondendo in tutti la sua innata voglia di vincere.
Sarebbe stato bello che la favola del Mancio-Laziale non fosse mai evaporata. Come al solito sono stati i soldi (che nel post-Cragnotti improvvisamente finirono) a rovinare tutto, impedendo che il legame tra la Lazio e Roberto proseguisse. Fossimo rimasti ricchi ed opulenti – lottando ogni anno per il titolo e per una Coppa europea – chissà che il Mancio non fosse rimasto. Aveva tutto, a Roma: la casa luminosa vicino Piazza del Popolo. Il mare a mezz’ora, che tanto gli ricordava le coste della Liguria, in cui sbarcò, da ragazzino, vestendo la maglia della Samp. Scorci di una città magica, Roma, di cui dal terrazzo di casa osservava i tetti ed i campanili.
E’ stato bello, lo scorso 12 maggio, in quell’Olimpico in cui non sarebbe entrato manco uno spillo, rivedere Mancio. Seguirlo, col cuore in gola, in quel giro di campo, a mo’ di riabilitazione dopo qualche screzio che aveva fatto da contorno al suo addio, nell’estate di dieci anni fa. Mancini ha rappresentato, da giocatore e da allenatore, una delle Lazio più folgoranti della sua storia: è stata questa la sua (doppia) eredità.
Ecco perché oggi, per ogni Laziale, è quasi un giorno di festa. I cinquant’anni di Roberto Mancini sono un traguardo importante, in cui ricordare una collana infinita di successi e di gol (come quelli segnati nei derbies, ad esempio) allieterà questa giornata di fine novembre.
Auguri, grande Mancio.