di Giorgio Bicocchi
“Vai veloce come il vento”. La parte nord di Roma finiva a Viale delle Milizie: da lì in avanti era una macchia verde, prati incolti, qualche sentiero solcato dalle carrozze e dagli zoccoli dei cavalli.
Piazza d’Armi non ospitava soltanto le parate militari dell’Esercito Regio. Sante Ancherani venne scoperto qui, in questo lembo di Roma che, nel corso dei successivi decenni, sarebbe diventato il rione Prati. Correva a perdifiato, dopo aver frequentato le scuole tecniche. Era nato, diciotto anni prima, in provincia di Ravenna. Per qualche mese si era trasferito a Tuscania. All’età di quattro anni, con la famiglia, andò ad abitare ad Ottavia.
“Ma quanto corri?” L’interrogativo venne lanciato da un gruppo di podisti che, nello stesso, smisurato spazio di Piazza d’Armi, erano soliti incontrarsi ed allenarsi. Il giovane Ancherani non correva, sprintava. Quasi per sfida, allora, i podisti misero mano al cronometro. Tredici secondi netti sui cento metri: roba da record o quasi. La Podistica Lazio era nata esattamente un mese prima. Quei podisti – che appartenevano alla Lazio – offrirono ad Ancherani la tessera del giovanissimo sodalizio. C’era impresso il numero sei: Sante se la mise in tasca, percorrendo quasi in apnea, col cuore in tumulto, la strada del ritorno a casa. Da lì a qualche anno, quella società e quei colori erano destinati a diventare un unico cordone ombelicale.
Si, perché questa è la realtà, riavvolto il nastro dei ricordi, degli aneddoti e delle ricostruzioni. Se Bigiarelli consolido’ un ideale, materializzandolo, ad Ancherani va riconosciuto il merito di aver praticamente fondato il calcio a Roma. Nel Nord Italia si svolgevano già i primi campionati, si assegnavano gli scudetti, il pallone suscitava consensi ed attenzioni. A Roma era tutto agli albori: sarebbe stato Ancherani a promuovere quella disciplina, inventata in Inghilterra. Accadde tutto nella sede di Via Valadier: un giorno, un uomo venuto da lontano, Bruno Seghettini, chiese se gli iscritti della Lazio conoscessero le regole del calcio. Ancherani scosse la testa, conducendolo a Piazza d’Armi, curioso di farsi descrivere quella nuova disciplina.
Il primo atto del calcio a Roma fu quello: gennaio 1901, una sorta di dimostrazione pratica su quella sterminata macchia verde, al di là di Viale delle Milizie. Ancherani e gli altri ragazzi della Lazio cominciarono a prendere confidenza con quella sfera che rotolava, usando gli scarponi dell’Esercito. Beninteso, giocavano tra loro, una volta compagni, un’altra avversari. Non c’erano altre squadre da sfidare. In città la Lazio era entità unica e inattaccabile.
Ancherani, così, racchiude diverse funzioni: è l’allenatore, il capitano, il centravanti di quella Lazio giovanissima. Nel frattempo, quando non è in sede, o a correre e giocare, gli piace suonare la tromba. Il grande maestro Vassalla se ne accorge e lo scrittura nella banda musicale. Col tempo non sarà un hobby ma diventerà un lavoro vero e proprio. Di ritorno da una esibizione a Londra, Sante porta con sé il modello di vere scarpe bullonate, da gioco. Consulta un calzolaio che gestisce una bottega artigiana a pochi passa dalla nuova sede societaria di Via Pompeo Magno. “Questo è il modello, fanne undici paia: ci servono per giocare”.
Prima l’importazione di una nuova disciplina. Poi i primi avversari, improvvisati: sono alcuni seminaristi inglesi o irlandesi che studiano a Roma e che già conoscono le regole del football. Il teatro di quelle sfide è sempre e soltanto Piazza d’Armi. La Lazio incassa (in incontri ovviamente non ufficiali) sconfitte brucianti. Ma il gruppo, nel complesso, cresce, si abitua a lottare, gli uni per gli altri. Ancherani è anche lo straordinario motivatore: prima di ogni partita porta la squadra a correre per un paio d’ore lungo il quadrilatero (lungo quasi quattro chilometri) che oggi ospita il Lungotevere, Viale Carso, Viale Angelico, Viale delle Milizie. C’è la squadra, ci sono le scarpe bullonate. C’è il campo da gioco. Ormai le regole del football sono state comprese. Mancano gli avversari.
E i rivali si materializzano per effetto – che storia bizzarra – di uno scisma interno alla Lazio. Ecco la Virtus, nata proprio da una costola ribelle della Lazio calcio. Millenovecentodue o millenovecentoquattro, la disputa tra gli storici è ancora aperta ma la sostanza non cambia: il primo derby cittadino si gioca in un giorno di maggio ed è solo e soltanto Lazio-Virtus. Finisce tre a zero. Tre volte Ancherani a referto, tripletta per la prima stracittadina. La Lazio che inaugura una camicia di flanella a scacchi biancoceleste: sono le donne di casa Ancherani a cucirle, per tutta la squadra.
Intanto, il carisma di Sante (e della sezione calcio) si alimenta. Il Comitato Toscano invita così la Lazio ad un torneo interregionale, a Pisa, nel 1908, come riscontrato da ricerche ed approfondimenti del Centro Studi. È la ghiotta occasione per esibire – fuori dai confini della regione – la forza di un progetto. È qui che viene rappresentata la più leggendaria impresa sportiva. La Lazio si ritrova alla Stazione Termini e parte con un accelerato alla volta di Pisa. Arriva che è buio pesto, trascorrendo la notte su una decina di giacigli di paglia approntati alla periferia della città. L’indomani, nello spazio ristretto di otto ore, la Lazio di Ancherani batterà, in rapida successione, tre squadre toscane: Football Club Lucca, Spes e Virtus Livorno. L’ultima con un gol realizzato proprio dal suo alfiere-centravanti-capitano. Sante, per l’occasione, si rende protagonista di uno smacco ai rivali della Virtus: gli strappa i talentuosi fratelli Corelli (che parteciperanno alla grande festa toscana), dando vita, in sostanza, al primo episodio di un trasferimento da una squadra cittadina all’altra.
Undici anni sul piedistallo. La vita però va avanti, reclamando scelte decisive. Ancherani continua a giocare ma la passione per la musica e per la tromba è pari ormai a quella per i colori biancocelesti. La Lazio pulsa ormai di vita propria, conta diverse sezioni, protagonista in tante discipline Alla fine degli allenamenti o delle partite, Sante sale su una carrozza che percorre Viale delle Milizie e risale verso Piazza di Spagna, dove è solita esibirsi la banda di Vassalla. All’interno Ancherani si cambia, sveste la muta da gioco e indossa la divisa da musicista. È una vita faticosa, che non può andare avanti in eterno e Sante ne è conscio.
Il solco è tracciato, i colori sono vivi e vitali, il biancoceleste – inteso come Polisportiva ed inno alla vita – è l’emblema della città. È il momento ideale per lasciare, dedicandosi completamente alla musica e all’attività nella banda. Il peso dell’eredità, però, nella storia Laziale, resta oggettivamente decisivo.
Ancherani si commuoverà nel ‘37, vedendo la Lazio di Silvio Piola arrivare a sfiorare soltanto la conquista del tricolore. Festeggerà la conquista della Coppa Italia, applaudendo Bob Lovati. Non farà in tempo, invece, a gioire per il primo, indimenticabile scudetto. Morirà un giorno di settembre del ’71, tramandando l’essenza di una vita spesa al servizio di un romantico ideale.