di Giorgio Bicocchi
Ritornata in serie A, avendo superato nel precedente mese di agosto il primo girone eliminatorio di Coppa Italia, la nuova Lazio di Materazzi si preparo’ all’impatto contro Fiorentina, Inter e Udinese, sorteggiate con i Laziali nell’ambito del cammino verso la finale che avrebbe assegnato la coccarda tricolore. Un girone composto da quattro squadre, tre partite secche, senza il ritorno: solo la prima in classifica, al termine di quei tre impegni, sarebbe stata promossa ai quarti di finale.
Era un raggruppamento oggettivamente improbo: l’Inter, allenata da Trapattoni, Matthaus e Brehme alfieri, avrebbe vinto in carrozza il campionato che, di li’ a qualche settimana, sarebbe iniziato. Nella Fiorentina, con Eriksson direttore tecnico, c’erano Baggio, Dunga e Hysen. Mentre l’Udinese, per la Lazio di quegli anni (come non ricordare il clamoroso 1 a 4 incassato nel gennaio ’85 all’Olimpico?), assomigliava ad uno spauracchio.
Due partite in casa, una, l’ultima, in Friuli. Tutti al Flaminio, appassionatamente, allora, stretti uno accanto all’altro, in quelle notti di settembre di ventisei anni fa. Prima gara, mercoledì 14, Lazio opposta alla Fiorentina. Vittoria meritata, uno a zero, firmata da un gol potente di Dezotti. Materazzi, in quella circostanza, in attesa di lanciare Di Canio, schierò una prima linea mica composta da carneadi, con Dezotti, Icardi, Muro, Sclosa e Sosa.
Una settimana dopo, altro appuntamento nello stadio sotto la collina dei Parioli contro l’Inter, impreziosita da Zenga, Bergomi, Franco Baresi, Brehme, Ferri, Mandorlini, Matthaus, Ramon Diaz, Berti. Una multinazionale ricchissima ed opulenta a cui la giovane Lazio di Materazzi, con Martina in porta e una difesa composta da Monti, Piscedda, Gregucci e Marino, si oppose fieramente. Andando in vantaggio dopo un giro di lancetta con una saetta di Dezotti, ripresa dopo qualche minuto dal tornante Bianchi.
Stupì, quella Lazio, per l’ardore e la solidità, tanto da trascinare il Flaminio, pieno come un uovo già un’ora prima del fischio d’inizio. Ruben Sosa era un furetto imprendibile mentre Dezotti pareva un cecchino d’alto rango.
Furono notti belle, romantiche, che fecero conoscere – ai più piccoli, soprattutto – il fascino di un impianto che, per la Lazio, rappresenta storia e prestigio. Portarono pure fortuna quelle partite disputate al Flaminio: la Lazio, infatti, vinse quel girone difficilissimo di Coppa Italia trionfando anche ad Udine, nell’ultima partita, timbrando così l’accesso ai quarti di Coppa Italia.
Grazie ai gol di Dezotti e agli assist sontuosi di Ruben Sosa, ritratti con Pin di spalle, in una bella foto del Centro Studi.