di Giorgio Bicocchi
Quante erano le bandiere che sventolavano all’Olimpico sin dalle undici della mattina di quarant’anni fa? Date un’occhiata alle foto di quel giorno magico: lo stadio sembrava tappezzato di vessilli al vento. Ecco perché, se possibile, stasera occorrerà fare di meglio, non lasciando nemmeno un metro senza colorarlo di bianco e celeste.
Con una maglia, una delle tante che abbiamo vestito dal ’74 ad oggi, con una sciarpa, uno striscione.
Ci sono Laziali che mai hanno visto sfilare tutte le sezioni della Polisportiva: tra poche ore colmeranno la lacuna e forse capiranno perché la Lazio e’ una cosa unica, irripetibile. Come un ciclista in fuga perenne. La puoi scuotere, ferire, battere ma si rialzerà sempre, sorretta da fondamenta che assomigliano alle radici delle querce.
Sarà una notte, la prossima – vedrete – in cui faticheremo a prendere sonno. Perché le emozioni prenderanno il sopravvento. I ricordi si mescoleranno: i cinquantenni di oggi sono cresciuti a pane e Lazio e mica rinnegano la simbiosi. L’Olimpico sarà bello e festoso da metà pomeriggio. Chi andrà al lavoro guarderà spesso l’orologio, immaginando l’uscita, direzione Olimpico, verso i palpiti del proprio cuore. Sfilerà la Lazio più genuina, quella costituita dalle sezioni della Polisportiva. Eroi silenziosi che, ogni fine settimana – spesso autofinanziandosi – esportano il mito dell’Aquila in acqua, sui parquet, in sella ad un cavallo, in palestra. Applaudiremo chi resta dei nove campioni olimpici. I giocatori del primo scudetto. Quelli del meno nove e della serie A riguadagnata la stagione successiva. Le rughe di Zoff, il viso da Pierrot di Fascetti. Il ciuffo spensierato del Mancio. L’eleganza di Sandro Nesta. Il fisico asciutto di Martini. La faccia scanzonata di Oddi. E poi – in mezzo ad un popolo che ritrova e festeggia una cosa che ama – ecco una nuvola, sistemata, in una notte nitida e celeste, sopra la collina della Monte Mario.
Li’ – ci piace crederlo – ci saranno le anime di tutti coloro che, alla Lazio ed ai suoi ideali – hanno dato un pezzo di loro stessi. Ora non ci sono più ma, per molti di noi, sono stati fratelli maggiori. Tommaso, Long John, Cecco, Pola, Mario, Bob, Renato, Gigi, Giuliano, Nando. Tutti con storie di Lazio appuntate sul petto. Tutti andati via troppo presto, ingiustamente. Tutti stretti, abbracciati, magari al pari di nonni, papà, fratelli o cugini a cui va sempre riconosciuto il merito di averci reso Laziali, ovvero con un qualcosa in più rispetto agli altri. Di padre in figlio, appunto.
Agitiamo le bandiere, riappropriamoci di un Olimpico bello e scoppiettante, festeggiamo chi ci ha regalato gioie. Urliamo Lazio Lazio anche per quelli che stasera, non ci potranno essere. E, ogni tanto, alziamo la testa verso quella nuvola. Anche da li’ arriveranno – come sempre – influssi benefici.