di Giorgio Bicocchi
Vito, ma a quel gol che segnasti il 18 dicembre del 1966 contro la grande Inter di Herrera e di Moratti senior, ripensi spesso? ‘La partita stava ormai scivolando verso la fine, sarebbe stata un’impresa condurre in porto pure il pareggio. Una di quelle gare che gli attaccanti maledicono: troppo divario tra quella Lazio e l’Inter, che aveva vinto scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale. Avevamo costruito pochissimo, sempre a soffrire in copertura. E in avanti c’era il deserto. Di idee e di occasioni. Noi avevamo vinto, fino ad allora, solo una partita. Eravamo in fondo alla classifica e incontravamo una corazzata, pure mal ridotti. Esordì Anzuini, quella domenica. E Burlando giocava in mezzo al campo…‘
Basta chiamare Vito D’Amato, classe ’44, settantuno anni da compiere il prossimo mese di luglio, invitarlo a riavvolgere il nastro dei ricordi di quel Lazio-Inter giocato quasi mezzo secolo fa, Maino Neri contro Helenio Herrera era il duello (quasi improponibile per il diverso spessore dei due personaggi) dalla panchina, e il gioco e’ fatto.
‘Avrò’ toccato si e no una decina di palloni in quella gara. L’Inter costruì una decina di palle-gol. E poi Cei, in porta, compì parate prodigiose. Sembravamo essere sempre sul punto di capitolare e poi… La palla schizzò sotto la tribuna Tevere, era da poco scoccato l’ottantesimo minuto. C’era da battere un fallo laterale. Mi dissi: Vito, vatte a prende sta’ palla, almeno tocchi qualche pallone… Ricevetti la palla e scartai subito Bedin e Suarez, mi voltai e iniziai a correre sempre più forte. Avevo una scatto bruciante e a testa bassa pensai di arrivare fino davanti a Sarti. Quando vidi Picchi, il grande libero di quell’Inter straordinaria, venirmi incontro pensai: adesso mi butta giù e l’azione finisce. Allora non era come adesso: facevi fallo e non rischiavi l’espulsione da ultimo uomo…‘
Vito D’Amato (ritratto in una foto dell’epoca, con una bellissima maglia celeste di lana) segnò i suoi più bei gol in carriera sotto la Curva Sud. Uno contro la Roma, la stagione precedente, che valse un derby radioso. E, il secondo, quella domenica. Contro Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e Corso, mica carneadi. L’irripetibile litania nerazzurra di quegli anni, petto in fuori, stile e Coppe a raffica nel mondo.
‘Picchi non ce la fece nè a togliermi la palla nè a farmi fallo. Lo scartai e mi presentai, seppure spostato, davanti a Sarti. Calciai di sinistro, sotto la Curva Sud, dopo quasi sessanta metri di azione solitaria. Quando vidi la palla in rete quasi mi sentii svenire. Non ci credeva nessuno che la sgangherata Lazio di quell’anno, puntualmente retrocessa, sia pure all’ultima giornata del campionato, avrebbe potuto addirittura battere la grande Inter…‘
Ma è vero che negli spogliatoi scambiasti la maglia con Sandro Mazzola? ‘No, non è vero. Entrai negli spogliatoi dell’Inter per chiedere a Sandro la sua maglietta. Avevo preso un impegno con un ragazzo disabile e volevo mantenerlo. Tutta l’Inter fu gentilissima, nessuna acredine. Eppure era una squadra composta da giocatori orgogliosi, dei veri campioni. Erano tristi ma nessuno mi disse nulla. Anzi, Mazzola mi prese sottobraccio e mi disse: l’anno prossimo vieni a giocare con noi, vero? Io non risposi. Sapevo che all’Inter piacevo. La stagione precedente, pur perdendo uno a tre in casa, avevo disputato davvero una bella gara e Angelo Moratti, il papà di Massimo, mi aveva fatto i complimenti, dicendomi che mi seguivano‘.
E invece, per via della retrocessione e di un bilancio da puntellare, proprio al termine di quella annata sciagurata, D’Amato e Dotti, per la consistente cifra di quasi 350 milioni di lire, presero la strada di Milano. (fine prima puntata)