di Giorgio Bicocchi
Ha fatto in tempo a festeggiare con la Lazio le nozze d’argento. Vi arrivo’ nel ’61, dopo aver fatto parte – grande vanto, all’epoca – dell’equipe medica che assisteva gli atleti che presero parte ai Giochi di Roma. C’è una foto, molto romantica, che lo affresca vicino a Cassius Clay, uno degli eroi, nel pugilato, di quell’edizione olimpica.
Mori’esattamente ventotto anni fa, Renato Ziaco. E il suo funerale fu degno di un laziale vero. Con migliaia di persone a salutarlo, molti dei quali aveva operato agli arti, anche gratuitamente. Con Giordano che, a fine giugno dell’85, piombo’ da Napoli per essergli vicino l’ultima volta, ricordando come Ziaco si fosse prodigato, dopo il calcio infertogli da Bogoni in una partita ad Ascoli, mettendo seriamente a repentaglio il prosieguo della sua carriera. E poi Chinaglia, che porto’ a spalla la bara, e tutti gli altri eroi dello scudetto. E D’amico, un altro che, a neppure vent’anni, si imbattè nella sua maestria col camice, rimesso in piedi per diventare campione.
Era stato, in vita, il dottore di tutti, Renato. Dei ricchi e dei poveri. Dei calciatori della sua squadra del cuore, la Lazio, ma pure di quelli che militavano altrove. Pure Cordova, quando vestiva di giallorosso, veniva a farsi curare da lui, salendo i gradini, al primo piano, dello studio di Largo dei Fiorentini. Anche Selvaggi. Oppure Gigi Riva. Perché la fama dell’ortopedico Renato Ziaco aveva varcato i confini immaginari di Tor di Quinto.
C’era poi la folta schiera di coloro che Renato aveva curato senza chiedere una lira. Come quel tassista che era solito estrarre dal cassetto dell’auto le lastre che aveva fatto solo per farsi dare un consiglio. E Renato, di giorno e di notte (le ore che piu’ gli piacevano) non si negava a nessuno. Si laureo’ in medicina a ventitrè anni, lui, nato nel ’27, un passato vacanziero, da ragazzo, trascorso sull’Aurelia, sui terreni del padre, il mare ad un sospiro. Due grandi amori, oltre alla Lazio: le moto e le carte. Una volta – studiava ancora all’Università – si schianto’ girando sopra a due ruote. Rimase pure in coma, portando in dote, per il resto della vita, una camminata ondeggiante, da mandriano del Wyoming o delle Pampas. Di lui si narrano pure ore intere trascorse al Casino’, cercando la fortuna con le carte. Per la Lazio perse pure centinaia di milioni: erano anni in cui era difficile pure pagare gli alberghi dei ritiri. O gli stipendi di calciatori e impiegati della società. Durante quel Lazio-Milan dell’85, giocato di lunedi’ sotto la neve, scivolo’. Sembrava una cosa da nulla, qualche giorno di riposo e poi di nuovo in piedi. Invece gli scoprirono un brutto male, il solito, quello che già aveva attaccato e vinto Maestrelli e Bezzi, due suoi amici per la pelle. Un mito, a Tor di Quinto, nella sede di via Col di Lana, nello studio di Largo dei Fiorentini. Non solo medico ma pure consigliere, addetto alle pubbliche relazioni, dirigente nell’ombra. Una di quelle figure che incarnarono, per venticinque anni, la Lazialità. Bello, oggi, allora, a ventotto anni dalla sua scomparsa, regalargli un segno di attenzione: il dottor Renato Ziaco, medico valente e grande laziale, se lo merita.